Quanto
ci vuole a dire una sciocchezza? A quanto pare molto poco. Quanto ci
vuole ad evidenziare che era una sciocchezza? Poco più di molto poco.
Problema: le sciocchezze richiedono brevi catene di ragionamento, mentre
invece la dimostrazione che fosse una sciocchezza richiede lunghe
catene di ragionamento. La maggior parte delle persone non riesce a
seguire le lunghe catene di ragionamento. Questo vuol dire che colui che
ha intenzione di dimostrare che qualcuno abbia detto una sciocchezza,
sarà ulteriormente messo in difficoltà da una scarsa attenzione
dimostrata dal pubblico. Di conseguenza molto spesso colui che dice una
sciocchezza riesce a farla franca. Peggio, la sua sciocchezza diventa la
base per costruire una nuove serie di tesi altrettanto sciocche. Alla
fine, fortunatamente, il mucchio di sciocchezze crolla sotto il proprio
peso, ma coloro che c’hanno creduto, nel frattempo, debbono fare i conti
con la propria ingenuità e con quanto hanno perso.
Inutile dire che in Italia abbiamo chi
le spara grosse. Il presidente del consiglio riesce a farla franca con
la sua retorica perché si basa sulle sciocchezze e su brevi catene di
ragionamento. Ottiene l’attenzione. Gioca sul fatto che l’elettore medio
non si prenderà la briga di controllare e vagliare quanto detto. Molto
spesso neanche i media mainstream lo fanno. Quindi tocca farlo alla
stampa indipendente. Per il momento, infatti, il “nostro” presidente del
consiglio ha potuto tranquillamente seppellire l’etere sotto una
caterva di proposizioni inesatte e fantasiose, perché la BCE sta
guardando le spalle ai malati d’Europa. Nello specifico, ha scatenato
nei mercati una gigantesca offerta d’acquisto per il pattume
obbligazionario statale, la quale ha indotto investitori istituzionali e
non ad accaparrare titoli di stato facendo front-running al “whatever it takes” di Draghi.
Questa mossa ha abbattuto i rendimenti
delle obbligazioni statali, permettendo agli stati europei, e
soprattutto all’Italia, di prendere una boccata d’aria dalla grave crisi
iniziata con la Grecia nel 2010. Ovviamente questa strategia è
totalmente artificialmente e non ha assolutamente niente a che fare con
mercati liberi e onesti. Sebbene Draghi continui a chiedere che gli
stati “facciano le riforme”, non accade nulla di tutto ciò perché
l’unica cosa che il QE comporta, è un maggiore azzardo morale, una
determinazione dei prezzi falsificato e un rischio mal prezzato. Di
conseguenza, Renzi sta facendo la voce grossa a livello europeo affinché
venga approvato un deficit maggiore per l’Italia, solo in virtù della
manna monetaria alimentata da Draghi.
Infatti se non fosse per l’effetto temporaneo del QE, l’Italia avrebbe dovuto operare una vera spending review
e non avrebbe potuto scatenare la rapacità del fisco. Non solo, ma
avrebbe soprattutto dovuto contenere il proprio deficit affinché gli
investitori esteri comprassero il suo debito. Nessuno avrebbe potuto
incolpare i bond vigilantes di un presunto complotto, perché le evidenze
sarebbero state sotto gli occhi di tutti. Infatti di fronte ad una
levata di scudi come quella riportata da questo articolo di Bloomberg,
dove i vari funzionari pubblici italiani si sentono oltraggiati dalle
richieste tedesche, quale credibilità avrebbe potuto avere a livello
finanziario un paese che si rifiuta di constatare la fragilità dei
propri conti pubblici? Per non parlare dei bilanci colabrodo delle
grandi banche commerciali. Quindi, no, non esiste alcun “mega-complotto”
contro l’Italia da parte della Germania, ma solo l’ingenua e sterile
speranza (ovviamente per ragioni economiche legate fondamentalmente ai
saldi Target2) di quest’ultima di voler cambiare un paese prossimo alla
bancarotta ufficiale.
E con bancarotta non sto esagerando.
Come definireste un paese che continua a prendere in prestito denaro e a
spenderlo in progetti improduttivi? Nonostante tutte le chiacchiere
sulla fantomatica riduzione della spesa pubblica, quest’ultima continua a rimanere a livelli da record a circa €830 miliardi.
Non solo, a questo dobbiamo aggiungerci l’assurda pressione fiscale
italiana reale che si attesta ormai al 70%. Insomma, gli italiani
lavorano praticamente per lo stato. Dov’è la creatività? Dov’è
l’innovazione? Si pensa di uscire da una stagnazione secolare costruendo
cattedrali nel deserto come il ponte sullo stretto? Se la storia è una
guida, Hoover ci provò con la sua diga e fallì. Invece la retorica delle
sciocchezze ancora attecchisce tra gli elettori. La loro pigrizia nel
voler seguire lunghe catene di ragionamento li costerà caro: sia in
termini pecuniari sia in termini di libertà e privacy.
È sufficiente considerare quanto sia
diventata ingerente la burocrazia. Pensate alla follia delle ingiunzioni
di pagamento, dove il malcapitato di turno deve prima pagare e poi
dimostrare la veridicità di quanto affermato dallo stato. Pensate a
quanto ci vuole ad aprire un’attività. Ma la vera propaganda nel nostro
paese non tanto sono le proiezioni stimate del PIL utilizzate dal
governo per costruire castelli in aria, che poi si schiantano a terra
quando escono i numeri reali. Infatti bisogna ricordare ai lettori
disattenti che i numeri dell’Istat vengono rivisti costantemente una
volta usciti. Se poi la politica sfrutta i dati grezzi per mostrare
all’elettorato il presunto successo del suo governo, non bisogna gridare
allo scandalo una volta uscite le rettifiche. La balla esisteva già da
prima, utilizzando cifre temporanee come base per la gestione dei conti
pubblici. Questa è pura e semplice cialtronaggine. Non c’è
bisogno di soffermarsi più di tanto sul tira e molla con i dati Istat, i
quali vengono segnalati dal “nostro” presidente del consiglio qualora
positivi o vengono soprasseduti qualora negativi.
Gente, il vero inganno è la cosiddetta
caccia all’evasore. La scusa principe per aizzare i contribuenti gli uni
contro gli altri, sviando l’attenzione dalla rapacità dello stato.
Infatti non si stanno affatto “recuperando” fondi dall’evasione fiscale,
poiché con gli strumenti repressivi in mano allo stato ci sono poche
vie di fuga, è il costante aumento della pressione fiscale, delle
contribuzioni e la costante riduzione delle detrazioni che ha permesso
allo stato italiano d’incamerare più risorse dalla popolazione. E che
cosa ha fatto? Ha speso di più.
La giustificazione dell’evasore, quindi,
serve al governo per continuare a tenere una mano ben ferma nel
portafoglio degli italiani e un piede ben saldo sulla loro testa. E
questa è solo una metà dell’intera storia. Infatti la metà più
interessante la ritroviamo nelle chiacchiere sul lavoro. La ripresa
economica di cui vanno blaterando i media mainstream e i politici è solo
nei numeri, non nella realtà. Soprattutto in un’economia in cui il
lavoro è stato tagliato e sminuzzato e poi diviso tra impiegati in call
center, fattorini, camerieri, montatori di palcoscenici, ecc. Questi
lavori non offrono affatto retribuzioni da capofamiglia, quelle che
permettono agli individui di comprare casa e costruire una famiglia.
Infatti se guardiamo i dati riguardanti
l’impiego a tempo indeterminato, noteremo un trend nettamente al di
sotto della propaganda del “nostro” presidente del consiglio, il quale
si sta pavoneggiando nei suoi comizi a botte di striscioni pro-Jobs Act.
No, i politici non sono affatto in grado di creare posti di lavoro. Non
hanno gli strumenti adatti nelle loro mani per fare impresa. Non sono
in grado d’effettuare un calcolo economico in accordo con le forze di
mercato.
Come si nota dal primo grafico, siamo
ben lontani dal picco pre-crisi e questo nonostante il massiccio aiuto
da parte della BCE. Quindi il “nostro” presidente del consiglio e la sua
compagine di partito possono festeggiare quanto vogliono, resta il
fatto che la stampa di denaro e la gigantesca crescita del debito
pubblico sin dall’inizio del secolo hanno prodotto un mercato del lavoro
che potremmo definire “panem et circenses”. Rispetto all’impiego a
tempo indeterminato diamo un’occhiata al part-time.
Quindi, a seguito della Grande
Recessione non sono nati posti di lavoro nuovi, bensì sono semplicemente
rinati quelli persi durante il breve periodo di crisi. Gli interventi
centrali da parte di stati e banche centrali hanno messo i bastoni tra
le ruote alla correzione e hanno permesso alle attività sovvenzionate
artificialmente o che potevano accendere nuove linee di credito, di
risucchiare artificialmente forza lavoro. I posti di lavoro
tendenzialmente a tempo indeterminato sono spuntati qui. Nello specifico
per quanto riguarda l’Italia, nel settore dei mezzi di trasporto il
quale, secondo l’ultimo comunicato dell’Istat,
continua a far registrare un forte aumento. Grazie sostanzialmente alla
bolla dei prestiti per automobili negli USA, ad esempio, le
esportazioni di automobili sono cresciute a ritmo battente nell’ultimo
anno. Ma così come accaduto sui nostri lidi, stiamo parlando di un
effetto illusorio guidato dalla stampante monetaria, la quale crea
trappole economiche che infine scattano e mandano in bancarotta le
aziende e di nuova sulla strada i lavoratori.
Ma sia in Cina sia negli USA, la
macchina dell’importazione si sta spegnendo. Il commercio globale, come
denotano anche le letture tetre del Baltic Dry Index, sta rallentando
visibilmente. La pesante intrusione nei mercati da parte delle banche
centrali negli ultimi 8 anni e il raggiungimento della condizione di
picco del debito in quasi tutto l’Occidente, rappresentano un mix
incendiario che sta facendo diffondere in tutto il mondo un’ondata di
deflazione che deprimerà i profitti e le spese in conto capitale di
tutte quelle industrie che hanno goduto della manna monetaria. Inutile
dire che la Fiat sarà una di queste. Infatti secondo le stime del WSJ
solo quest’anno torneranno indietro 3.1 milioni di veicoli alle
concessionarie a seguito dell’espirazione dei leasing, il 20% in più
rispetto al 2015 e tale numero salirà a 3.6 milioni l’anno prossimo e a 4
milioni quello successivo.
Una correzione di mercato è inevitabile.
Questo perché gli errori economici del passato non sono stati affatto
corretti, e a questi se ne sono aggiunti altri. In realtà, il nostro
paese è fallito all’incirca 20 anni fa e nessuno se n’è accorto.
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