Occorre una revisione della Costituzione
Il
voto dei 18 senatori verdiniani sulle unioni civili sono stati decisivi
per far toccare alla maggioranza la fatidica quota 161, tanto che sia
le opposizioni sia la minoranza dem si sono chiesti, e hanno chiesto al
premier Matteo Renzi, se a quel punto fosse cambiata la maggioranza. Da
Palazzo Chigi nessuno, a cominciare da Matteo Renzi, ha avallato una
tale ipotesi: «La maggioranza non è cambiata», ha ripetuto il premier
segretario, ricordando comunque che «in Senato la maggioranza non ce
l’abbiamo, quindi sono necessari apporti di altre parti, per avere i
numeri le elezioni bisogna vincerle». Quindi solo una questione di
Realpolitik.
QUIRINALE – Dall’opposizione però molti chiedevano a
Renzi di salire al Quirinale per certificare il cambio di maggioranza.
Ma, spenti i riflettori sulle unioni, era rimasto il problema Denis
Verdini rispetto al Pd, anche se l’apporto verdiniano, al momento,
somiglia a una sorta di «appoggio esterno» al governo, come fece a suo
tempo il vecchio Pci che stava in maggioranza con Andreotti ma non
nell’esecutivo. La questione sembrava attutita e il segretario premier
già era soddisfatto per aver superato senza danni anche questo scoglio
quando è piombata come un fulmine (non a ciel sereno, era aspettata) la
condanna del senatore fiorentino a due anni di reclusione, per
corruzione nell’affaire della costruzione della scuola marescialli a
Firenze.
OPPOSIZIONI E DEM – Opposizioni e minoranza dem hanno
allora ripreso fiato e hanno chiesto se il governo potesse andare avanti
con l’appoggio di un leader che, pur partendo dalla presunzione
d’innocenza fino a condanna definitiva, era pur sempre stato condannato
in primo grado per un grave reato, proprio quel reato per combattere il
quale il Governo e Renzi in persona avevano deciso di creare addirittura
un’apposita Autorità, l’Anac, affidata al magistrato Raffaele Carbone.
Il senatore dem Carlo Pegorer ha affermato che la natura politica di una
maggioranza parlamentare di governo «non è questione che si possa
liquidare con qualche battuta ma è il frutto di precisi comportamenti
nella vita parlamentare. Le sentenze della magistratura non si
commentano e si attende con rispetto l’intero corso che la giustizia è
chiamata a compiere. Dei rapporti politici tra il Pd e Ala, invece – ha
concluso -, si dovrebbe discutere eccome anziché continuare a fare finta
di niente».
MAGGIORANZA PD – Ovvia la risposta della maggioranza
Pd e del Governo: Verdini non fa parte della maggioranza né del Governo,
tesi sostenuta da tutti gli esponenti di rilievo, anche se con molto
imbarazzo. «Siamo stati costretti ad alleanze anomale per portare a
compimento le riforme necessarie ad evitare di doverne stringere in
futuro» dice Giorgio Tonini, senatore del Pd e presidente della
commissione Bilancio, commentando le polemiche sorte dopo la condanna in
primo grado di Denis Verdini. «La lotta alla corruzione è un tema
centrale per il Pd e per il governo. In tutte le forze politiche c’è
qualcuno che mette in atto comportamenti sbagliati, e per questi casi ci
sono la magistratura e la presunzione di innocenza fino a condanna
definitiva. Nel Pd, chi è accusato si autosospende o viene sospeso. Ma
ovviamente queste sono regole che valgono nel nostro partito. Verdini è
un senatore di un’altra formazione e non ha incarichi di governo». E
aggiunge un dettaglio molto significativo, che chiama in causa il
Presidente emerito della repubblica: «L’alleanza è frutto dell’accordo,
stretto davanti a Giorgio Napolitano per appoggiare le riforme, fra Pd,
tutto il Pdl di allora e i centristi. Napolitano accettò il suo secondo
mandato al Quirinale proprio sulla garanzia che tutti avrebbero
appoggiato le riforme. Questa legislatura è segnata da quell’alleanza.
Il Pd non ha i numeri e il M5s per tre volte ci ha detto no. L’unico
modo per ottenere riforme e stabilità è l’alleanza con il centrodestra.
Dal Pdl sono nati cinque gruppi: come le nuvole di De André vanno,
vengono, ogni tanto si fermano». Infine il presidente della Commissione
Bilancio, Francesco Boccia, afferma che Verdini non è nemmeno
lontanamente del Pd e non sarà nemmeno alleato alle prossime elezioni
politiche: «Io sono tra quelli che pensano che un minuto dopo il
referendum occorrerà anticipare il congresso e andare a elezioni. In
quel voto la mia posizione congressuale sarà Pd da solo. Dato questo
Italicum, il Pd non si può alleare con nessuno e tantomeno con Verdini».
COSTITUZIONE
– Al di la delle schermaglie politiche resta la questione di fondo.
Anche questi episodi dimostrano che occorre una revisione, probabilmente
non nel senso imboccato dall’Italicum, del nostro regime elettorale e
parlamentare, visto che finora è accaduto spesso che le maggioranze
uscite dal consenso elettorale siano state battute per il passaggio, in
corso d’opera, di molti parlamentari da uno schieramento o da una
posizione all’altra. E’ accaduto con il centro sinistra (caduta del
Governo Prodi), accade più spesso con i governi di centrodestra. In
quest’ultima occasione poi Re Giorgio Napolitano ha deciso autonomamente
di dare il via all’epoca dei governi del Presidente, di sua stretta
fiducia, mettendo da parte la volontà popolare e congelando, di fatto,
il consenso democratico.
DEMOCRAZIA – Si tratta di un problema
fondamentale per un corretto svolgimento della vita democratica e per il
rispetto della volontà del popolo sovrano, che anche con l’Italicum
sembra però destinata ad essere riposta in un cassetto. Per consentire a
chi conquista una maggioranza notevole, ma non assoluta, di occupare
tutto il potere. Nessun segnale ancora dal Capo dello Stato, che della
Costituzione è il primo garante. E la chiamano democrazia….
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