Da quando seguo la questione migratoria, con centinaia di migliaia di
persone in arrivo sulle nostre coste a cadenza regolare, mi chiedo
sempre una cosa: ma da quando in qua lo “scappare dalla guerra” è degno
di venire elevato a valore morale o a fattore giustificativo a livello generalizzato?
E’ una domanda che mi balena in testa soprattutto quando vedo
etichettare la parola “profugo”, usata spesso con leggerezza, anche
addosso a maschi forzuti e di ottima condizione in arrivo dalla Siria.
Mi chiedo se lì non si stia combattendo una guerra tra uno stato laico
che dal 2011 lotta contro il terrorismo jihadista, e visto che la
risposta non può che essere affermativa, mi chiedo con quale titolarità
questi virgulti in età da combattimento vengono fatti entrare in Italia,
in un momento in cui combattere il terrorismo dovrebbe essere la
priorità per ogni governante degno di questo nome.
Passino le donne, i bimbi e gli anziani, i quali possono aver diritto dello status di rifugiati a vario titolo e con i dovuti distinguo.
Ma con che coraggio si accolgono in Italia (e altrove) delle persone
giovani e capaci che dovrebbero essere in prima linea a combattere
l’ISIS a casa loro?
Facendo due conti, si può pure pensare male. Se di prevenzione e
antiterrorismo si parla, lodando l’operato dei servizi italiani e delle
forze dell’ordine fin qui capaci di prevenire ogni possibile attacco nel
nostro paese, viene da chiedersi quanto possa essere radicato e forte
il sentimento anti-islamista in persone che fuggono da
una terra, la loro, che è sconvolta dall’attacco jihadista da cinque
anni. Viene da chiedersi quanto ci si possa fidare di individui che, nel
momento in cui la loro nazione è fatta oggetto di attacco dal cancro
dell’islamismo radicale, decidono di fuggire.
Perché i media mainstream, al posto di esibirsi in un pietista e
ipocrita elogio all’Accoglienza, non si fanno queste domande? Perché
viene dipinto quasi come un Eroe o un martire chi scappa dalla guerra e
non chi la sta combattendo tra le fila dell’esercito della Siria
baathista? Perché non viene stipulato un accordo con il presidente Bashar Al-Assad
per identificare e rispedire in Patria tutti i siriani in età da
combattimento, per farli effettivamente combattere o per portarli
davanti alle loro responsabilità, se di disertori si tratta?
In un momento in cui cancellare lo Stato Islamico dovrebbe essere la
priorità dell’Europa, viene da chiedersi perché non si inizi a farlo
mettendo in condizione il popolo siriano di combatterlo, cominciando da
chi, in età spendibile, viene in Europa ignorando bellamente le proprie responsabilità.
E suona strano, se non prezzolato, pure tutto il giustificazionismo
montante proveniente da Sinistra, dove a ben vedere di retorica
partigiana, di combattenti scesi dalle montagne, si è vissuto per
decenni. Magari ultimamente il lessico boldriniano politicamente corretto ha spostato gli equilibri, certo, ma da qui a pensare di camuffare la realtà, il passo è fortunatamente ancora lungo.
La realtà è che un continente realmente interessato a combattere
l’ISIS avrebbe firmato quel tipo di accordo con Assad all’indomani dello
scoppio della guerra. Se dopo cinque anni l’Europa che
Tollera e Accoglie non ha fatto niente di tutto questo, significa che
molto probabilmente il combattere i terroristi dello Stato Islamico non è
tra le priorità di Bruxelles.
Alessandro Catto - 2 gennaio 2016
fonte: http://blog.ilgiornale.it
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