da Il Mattino del 26 marzo (titolo origunale “Frontiere, il rischio viene dalla Turchia”)
L’Unione europea tenta il rilancio con la “Dichiarazione di Roma” ed è
significativo che il primo dei quattro punti programmatici enunciati
sia dedicato alla sicurezza e all’immigrazione. Una rilevanza che sembra
confermare la consapevolezza che la crisi di consensi della Ue è stata
determinata negli ultimi anni anche dalla sua palese incapacità di
affrontare la minaccia dei flussi migratori illegali su vasta scala,
dalla rotta libica come da quella balcanica.
Un’emergenza che ha avuto un impatto consistente, aumentandone il
numero, anche sui voti raccolti dal Brexit che ha determinato, dopo le
tante nuove adesioni, il primo caso di uno Stato membro che decide di
lasciare la Ue.
Il testo del primo punto della Dichiarazione di Roma definisce gli obiettivi per un ‘Europa sicura.
“Un’Unione in cui tutti i cittadini si sentano sicuri e possano
spostarsi liberamente, in cui le frontiere esterne siano protette, con
una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, nel
rispetto delle norme internazionali; un’Europa determinata a combattere
il terrorismo e la criminalità organizzata”.
La Ue sembra quindi ribadire il valore degli accordi di Schengen
sulla libertà di movimento all’interno dell’Unione, messo a repentaglio
proprio dai flussi migratori illegali che hanno indotto molti Stati
membri a “barricare” le proprie frontiere o anche solo a ripristinarvi
ferrei controlli.
Un obiettivo perseguibile però solo se le frontiere esterne verranno
protette: l’impegno assunto in tal senso dai leader dei 27 Stati membri e
dal Consiglio europeo, dal Parlamento e dalla Commissione europei, avrà
quindi un senso solo se verrà varato un giro di vite nei confronti di
migranti illegali e trafficanti.
Proteggere le frontiere esterne dell’Europa significa concretamente
fermare i flussi illeciti con respingimenti in Libia e Turchia (dove
nonostante gli accordi raggiunti il presidente Recep Tayyp Erdogan
minaccia di riaprire i confini a tre milioni di migranti) ed espulsioni
nei Paesi d’origine di coloro che sono già arrivati in Europa ma non
hanno titolo per ottenere nessuna forma di asilo.
Più sibillino il richiamo a “una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, nel rispetto delle norme internazionali”.
Pare evidente infatti che un’immigrazione siffatta può essere solo
quella legale, scelta invece che subita dagli Stati europei, non certo
indotta dagli umori di Ankara o dal business dei trafficanti libici
legati alle organizzazioni terroristiche islamiche.
Del resto le “norme internazionali” a cui si richiama la
Dichiarazione di Roma sono rappresentate dalla Convenzione di Ginevra
sui Rifugiati del 1951, in base alla quale nessuno di coloro che ha
raggiunto l’Europa via Libia e Turchia avrebbe diritto all’asilo.
Neppure chi fugge dalla guerra (categoria quasi inesistente tra i
migranti che arrivano in Italia dalle coste libiche) ha infatti il
diritto di rivolgersi a organizzazioni criminali per attraversare
numerose frontiere e raggiungere il Paese europeo prescelto. La
Convenzione precisa infatti che vanno accolti colori che fuggono
direttamente dal Paese in cui la loro vita è in pericolo. USA, Gran
Bretagna, Canada e altri Stati accolgono i rifugiati siriani che hanno
fatto domanda di asilo dai campi profughi siti nei confinanti Libano,
Turchia e Giordania; solo l’Europa accoglie chi si rivolge al crimine
organizzato.
Per mantenere l’impegno assunto con la Dichiarazione di Roma del 25
marzo la Ue dovrà quindi cambiare radicalmente atteggiamento cessando di
accogliere chiunque paghi i trafficanti verificando solo
successivamente (e quando possibile) chi ha fatto entrare. Ne sarà
capace?
Il documento sottolinea la volontà di combattere “il terrorismo e la criminalità organizzata” ma
per farlo concretamente sul fronte dell’immigrazione occorre impedire
che le flotte militari europee e le navi delle organizzazioni non
governative continuino ad arricchire i trafficanti imbarcando migranti
illegali appena fuori dalle acque libiche (e spesso anche al oro
interno) per poi sbarcarli in Italia.
Mantenere l’impegno assunto ieri sarà fondamentale per consentire
alla Ue di riguadagnare un minimo di consensi e credibilità richiederà
determinazione politica e militare, specie ora che gli accordi stipulati
con la Turchia e quello bilaterale tra Libia e Italia vengono messi in
discussione.
Mentre Erdogan utilizza i migranti come arma di ricatto nel suo
braccio di ferro con l’Europa, la Corte di Appello di Tripoli ha
annullato l’intesa firmata il 2 febbraio a Roma da Paolo Gentiloni e dal
premier Fayez al Serraj.
L’accordo prevedeva che da giugno la Guardia costiera libica,
addestrata ed equipaggiata dall’Italia, fermasse barconi e gommoni di
migranti per riportarli in campi di raccolti libici assistiti dalla
comunità internazionale in vista del loro rimpatrio.
L’intesa aveva già poche speranze di concretizzarsi per il fatto che
il governo di al-Sarraj non controlla neppure un lembo di territorio o
di costa libica ma ora il suo annullamento lascia l’Italia e la Ue di
fronte alla prospettiva di non avere interlocutori affidabili in Libia.
Foto: AP e Marina Militare Italiana
27 marzo 2017 di Gianandrea Gaiani
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