RIPORTIAMOLI A CASA
Rotte manipolate, tracce cancellate, proiettili incompatibili. Nemmeno un indizio è in grado di inchiodare i nostri marò
Rotte manipolate, tracce cancellate, proiettili incompatibili. Nemmeno
un indizio è in grado di inchiodare i nostri marò, Massimiliano Latorre e
Salvatore Girone, alle loro responsabilità. Non c’è nessuna prova che
siano stati loro, il 15 febbraio del 2012, a sparare contro i due
pescatori imbarcati sul peschereccio Saint Antony, al largo delle coste
del Kerala. Eppure i due fucilieri sono ancora accusati di aver fatto
fuoco quel maledetto giorno di quattro anni fa, quando i fatti finora
analizzati vanno in tutt’altra direzione e scagionano Salvatore e
Massimiliano, lasciando pochi dubbi sulla loro innocenza.
LE ROTTE
Primo punto. Prendendo in considerazione le rotte dei due natanti (331 gradi la Lexie e 186 indicati dall’India per il Saint Antony) e la loro reale velocità (rispettivamente 14 e 8 nodi), le due imbarcazioni sarebbero passate a ben 920 metri di distanza l’una dall’altra, e non, come annotato sulla «Scena del crimine» depositata agli atti, a circa 50. È evidente che, se le cose stanno così, sarà difficile continuare a sostenere che i due marò abbiano sparato e colpito i due pescatori.
I PROIETTILI
Ma a legittimare i dubbi sulla loro colpevolezza ci sono soprattutto i proiettili. Dall’autopsia effettuata dalle autorità indiane sui corpi delle vittime emerge che quelli usati da chi ha sparato non erano affatto gli stessi in dotazione ai due fucilieri. La conclusione sarebbe contenuta nei documenti allegati alle «osservazioni scritte» depositate dall'India al Tribunale sul diritto del mare di Amburgo. In quelle pagine, come riportato dal Quotidiano nazionale, si legge che il proiettile estratto dalla testa di uno dei pescatori «è una pallottola molto più grande delle munizioni calibro 5 e 56 Nato in dotazione ai marò». L’anatomopatologo indiano, infatti, ha misurato un'ogiva lunga 31 millimetri, mentre il proiettile italiano è lungo appena 23. Insomma, quello esploso proviene da un’arma del tutto diversa dai mitra Minimi e Beretta Ar 70/90 di Latorre e Girone. Toni Capuozzo, nel libro «Il segreto dei marò», mette una dietro l’altra proprio queste incongruenze e non solo.
LE ARMI
E ancora. Sulla base degli stessi documenti presentati dall'India al Tribunale di Amburgo, l'ogiva recuperata nel corso dell’autopsia sui corpi dei pescatori, come rivelato dal Mattino di Napoli, potrebbe essere compatibile con un kalashnikov, le mitragliatrice Pk o Pkm di fabbricazione russa, jugoslava e cinese. Dunque un’arma che non è in dotazione dei fucilieri italiani, ma di altri paesi sì. Ad esempio lo Sri Lanka o la stessa India, che, guarda caso, si fanno la «guerra» per accaparrarsi le zone della pesca. E il confronto non avviene a suon di gentili parole, ma anche con forzosi respingimenti in mare.
GLI ORARI
Ad allontanare le ombre dai nostri marò ci sono anche gli orari in cui i fatti sarebbero avvenuti. Ufficialmente l'assalto sventato alla Lexie (quello che ha indotto i nostri fucilieri a sparare per difendersi) è avvenuto alle 16,30 del 15 febbraio, mentre, stando alla stessa ricostruzione del comandante del peschereccio Saint Antony, la sparatoria che ha causato la morte dei due pescatori sarebbe avvenuta addirittura cinque ore più tardi, alle 21.30. C’è di più. Un ulteriore elemento a discolpa di Massimiliano e Salvatore lo si trova, infatti, nelle parole pronunciate, circa un anno dopo i fatti, da Carlo Noviello, ex comandante in seconda della Enrica Lexie, secondo il quale i marò, vedendo arrivare un’imbarcazione verso la petroliera sulla quale erano imbarcati, «hanno sparato in acqua». Lo stesso Noviello ha riferito di «essere sicurissimo» che il natante visto arrivare dal ponte della nave non era il peschereccio Sant Antony, perché «non corrispondono i colori rispetto a una foto mostratami dal Dipartimento indiano della Marina mercantile».
LE ROTTE
Primo punto. Prendendo in considerazione le rotte dei due natanti (331 gradi la Lexie e 186 indicati dall’India per il Saint Antony) e la loro reale velocità (rispettivamente 14 e 8 nodi), le due imbarcazioni sarebbero passate a ben 920 metri di distanza l’una dall’altra, e non, come annotato sulla «Scena del crimine» depositata agli atti, a circa 50. È evidente che, se le cose stanno così, sarà difficile continuare a sostenere che i due marò abbiano sparato e colpito i due pescatori.
I PROIETTILI
Ma a legittimare i dubbi sulla loro colpevolezza ci sono soprattutto i proiettili. Dall’autopsia effettuata dalle autorità indiane sui corpi delle vittime emerge che quelli usati da chi ha sparato non erano affatto gli stessi in dotazione ai due fucilieri. La conclusione sarebbe contenuta nei documenti allegati alle «osservazioni scritte» depositate dall'India al Tribunale sul diritto del mare di Amburgo. In quelle pagine, come riportato dal Quotidiano nazionale, si legge che il proiettile estratto dalla testa di uno dei pescatori «è una pallottola molto più grande delle munizioni calibro 5 e 56 Nato in dotazione ai marò». L’anatomopatologo indiano, infatti, ha misurato un'ogiva lunga 31 millimetri, mentre il proiettile italiano è lungo appena 23. Insomma, quello esploso proviene da un’arma del tutto diversa dai mitra Minimi e Beretta Ar 70/90 di Latorre e Girone. Toni Capuozzo, nel libro «Il segreto dei marò», mette una dietro l’altra proprio queste incongruenze e non solo.
LE ARMI
E ancora. Sulla base degli stessi documenti presentati dall'India al Tribunale di Amburgo, l'ogiva recuperata nel corso dell’autopsia sui corpi dei pescatori, come rivelato dal Mattino di Napoli, potrebbe essere compatibile con un kalashnikov, le mitragliatrice Pk o Pkm di fabbricazione russa, jugoslava e cinese. Dunque un’arma che non è in dotazione dei fucilieri italiani, ma di altri paesi sì. Ad esempio lo Sri Lanka o la stessa India, che, guarda caso, si fanno la «guerra» per accaparrarsi le zone della pesca. E il confronto non avviene a suon di gentili parole, ma anche con forzosi respingimenti in mare.
GLI ORARI
Ad allontanare le ombre dai nostri marò ci sono anche gli orari in cui i fatti sarebbero avvenuti. Ufficialmente l'assalto sventato alla Lexie (quello che ha indotto i nostri fucilieri a sparare per difendersi) è avvenuto alle 16,30 del 15 febbraio, mentre, stando alla stessa ricostruzione del comandante del peschereccio Saint Antony, la sparatoria che ha causato la morte dei due pescatori sarebbe avvenuta addirittura cinque ore più tardi, alle 21.30. C’è di più. Un ulteriore elemento a discolpa di Massimiliano e Salvatore lo si trova, infatti, nelle parole pronunciate, circa un anno dopo i fatti, da Carlo Noviello, ex comandante in seconda della Enrica Lexie, secondo il quale i marò, vedendo arrivare un’imbarcazione verso la petroliera sulla quale erano imbarcati, «hanno sparato in acqua». Lo stesso Noviello ha riferito di «essere sicurissimo» che il natante visto arrivare dal ponte della nave non era il peschereccio Sant Antony, perché «non corrispondono i colori rispetto a una foto mostratami dal Dipartimento indiano della Marina mercantile».
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