Maurizio Lupi ha ricevuto il benservito da Matteo Renzi. Abbandona con disonore il posto di ministro delle Infrastrutture per essersi lasciato stritolare dai perversi ingranaggi della corruzione. Gratis. Ma la politica è così: se lo fai senza farti beccare sei una volpe, se finisci sui giornali sei un fesso.
Ora, posto che Lupi si sia comportato da sprovveduto riuscendo ad annegare in un bicchiere d’acqua, cosa c’è davvero dietro la sua defenestrazione? Non si dica la voglia di trasparenza e di legalità di Matteo Renzi perché sarebbe una bestemmia. Se si facesse sul serio a ripulire la macchina della Pubblica amministrazione mezzo Pd dovrebbe essere spedito a casa, per non dire altrove. Ciò che è capitato a Lupi non è un episodio della lotta alla corruzione, piuttosto è una puntata della saga del “padrino”. È una guerra di bande dove il clan vincente del primo ministro ha deciso di chiudere i conti con le famiglie alleate. Nel passaggio da Letta a Renzi l’Ncd era riuscito a mantenere il controllo di ministeri chiave, ricevuti in dote dal Pdl di Berlusconi. Ma al nuovo padrone del vapore l’equilibrio raggiunto a inizio legislatura stava stretto. Allora accade che, appena Renzi si insedia alla segreteria del Pd, Nunzia De Girolamo viene silurata.
Basta un accenno di scandaletto e non è più ministro delle Politiche Agricole. Più avveduti sono stati i marpioni della banda degli onesti di “Scelta Civica” i quali, intuite le intenzioni del capo, per non farsi segare si sono precipitati in massa, armi, bagagli e bagattelle, fuori della porta del Pd per essere assunti a tempo pieno. Un primo effetto balsamico dello Jobs act. La scelta, presa con “coraggiosa coerenza”, di saltare sul carro del vincitore ha consentito loro di tenere le terga incollate alle poltrone ministeriali. Oggi, che le condizioni della finanza statale consentono di liberare un po’ di risorse per le opere pubbliche, Matteo il boy scout decide che non debba essere il chierichetto di “Comunione e Liberazione” a tenere il banco nello chemin de fer delle Infrastrutture. Grazie all’aiutino di un’indagine che è esplosa con cronometrica puntualità, l’avvoltoio fiorentino ha “fottuto” il lupetto meneghino. Sarà, dunque, Palazzo Chigi a manovrare le scelte del ministero che fu di Lupi direttamente con un interim oppure facendo posto a una figura di tecnico che faccia immagine ma non muti la sostanza: con i soldi pubblici lavoreranno le imprese ben disposte verso il caro leader, magari entusiaste di andare in gita alla “Leopolda”.
C’è da scommettere che nelle prossime settimane dalle parti dell’Ance, la potente associazione dei costruttori edili che in passato non è stata tenera con la sinistra, si inizierà a recitare il Confiteor: Confesso a Matteo onnipotente e a voi, fratelli, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni… E i due gatti superstiti del Ncd? Per il momento resteranno al loro posto, anche perché Alfano come pungiball al ministero dell’Interno funziona a meraviglia: gli schiaffi se li prende tutti lui. Beatrice Lorenzin, invece, si prepara a una performance olimpionica nella specialità “salto del fosso”. Per salvare la faccia i “centrini” potrebbero ricevere l’ultraleggero ministero per gli Affari Regionali da assegnare, però, a un personaggio del Nuovo Centrodestra “affidabile”, a giudizio della cricca renziana. L’identikit è quello del senatore Gaetano Quagliariello.
La fine per strangolamento dell’esperienza moderata dei fuoriusciti del Pdl è il dato politico di queste giornate. Alfano e i suoi sono rimasti immobili di fronte alle decapitazioni dei loro compagni d’avventura, nella convinzione di salvare se stessi. E ora ne pagano le conseguenze. Pensavano di avere un futuro garantito scassando il centrodestra. Invece, stanno scomparendo uno ad uno come i dieci piccoli indiani di Agatha Christie.
di Cristofaro Sola -21 marzo 2015
fonte: http://www.opinione.it
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