Gli educatori lancino un grido d’allarme contro il rimbecillimento da smartphone
Il
cervello delle persone, e specialmente dei bambini e dei giovani, sta
andando in pappa: si sta letteralmente sbriciolando, giorno dopo giorno,
con rapidità e metodo, sotto l’incalzare del rincretinimento collettivo
provocato dall’uso, dall’abuso e dall’assuefazione alla tecnologia
informatica, e specialmente dall’uso scriteriato e pressoché
ininterrotto dei computer, dei videogiochi e degli smartphone.
Che cos’è uno smartphone,
per un bambino o un adolescente – e anche per moltissimi adulti che
sono regrediti allo stato di imbecillità dei loro figli e nipoti, a loro
volta rimbecilliti e derubati della loro infanzia e adolescenza naturali –
è presto detto: la sintesi, il compendio e il bacino collettore di
tutto ciò che, di questi nostri tempi, sempre più vuoti di cose reali e
sempre più ingombri di cose effimere, apparenti, virtuali, serve a
riempire, o meglio, a dare l’illusione di poter riempire, il vuoto
desolante delle nostre misere esistenze di animali semi-artificiali,
irrimediabilmente ammalati di tristezza (tanto più micidiale, in quanto
non riconosciuta), di angoscia esistenziale e di alienazione permanente.
Con uno smartphone
si può fare praticamente tutto; inoltre è piccolissimo, lo si tiene nel
taschino, sparisce nel palmo della mano: esso prende il posto dei
vecchi giochi di una volta, delle bambole, delle macchinette, dei
soldatini; ma è anche una macchina fotografica, che consente di
immortalare i momenti “unici” e “irripetibili” delle nostre vuote e
inutili giornate; è anche un mini-cinematografo, che permette di
assistere a qualche film o telefilm; è un bollettino meteorologico, che
ci informa sul prossimo andamento del tempo, del sole e della pioggia,
della visibilità e della temperatura; è uno stradario, che ci aiuta a
trovare, pressoché istantaneamente, l’indirizzo desiderato; è un
telefono, che ci mette in contatto con chi vogliamo, quando vogliamo e
dovunque ci troviamo, fosse pure in cima a una montagna (con poche
limitazioni di tipo elettromagnetico); è un distributore di oroscopi, di
massime, di aforismi; è un traduttore per leggere un testo in qualunque
lingua straniera; è un complice diabolico per ingannare i professori
nella versione di greco, di latino, d’inglese o di tedesco; è una sala
giochi, nella quale ci si può sbizzarrire con ogni sorta di gioco, di
quiz, di videogame, di simulazione; è una personalità fittizia,
con la quale si può entrare in un circuito di amicizie virtuali,
fingendo di essere quel che non si è, spacciandosi per qualsiasi
personaggio, aumentando o diminuendo la propria età, modificando il
proprio stato sociale, bluffando sul proprio aspetto fisico (anche le
proprie fotografie possono essere ritoccate, allungate o ristrette, in
modo da modificare opportunamente il proprio aspetto fisico); è
un’agenzia di viaggi, presso la quale si possono consultare gli orari
ferroviari o aerei, prenotare i biglietti, fissare la camera d’albergo,
beninteso dopo essersi informati circa i prezzi, il tipo di trattamento,
la posizione, eccetera; è un ufficio sanitario, presso il quale si
possono ritirare e consultare le proprie analisi mediche; si può sapere
quali film vengono proiettati nelle sale cinematografiche, quali
programmi ci sono in televisione, quali negozi sono aperti e in quale
orario, quali sono le farmacie di turno, quali gli studi dentistici,
quali i saloni di estetica; a che punto sono le quotazioni di borsa, o
le attività legislative in parlamento, o i lavori stradali nel comune
tal dei tali; se il traffico autostradale è scorrevole o meno, se
l’aeroporto è chiuso per nebbia o se allo scalo marittimo i traghetti
non partono a causa di uno sciopero; e, naturalmente, chi ha vinto
l’ultimo reality show, qual è il libro più venduto della settimana: il tutto ascoltando qualunque brano musicale.
Per
giunta, date le sue minuscole dimensioni e il suo peso quasi
irrilevante, non vi è luogo, né momento, né situazione, in cui non sia
possibile utilizzarlo, goderne le meraviglie, scacciare la noia o la
tristezza facendo ricorso alla sua provvidenziale compagnia: da soli o
con gli altri, a piedi o in bicicletta; al bar o alla guida
dell’automobile (e sia pure rischiando la multa o qualcosa di peggio; ma
esistono i mezzi tecnologici per usarlo senza distogliere le mani dal
volante); o in fila davanti allo sportello della banca, oppure in
lavanderia, in attesa dell’asciugatura; o sul treno e in corriera,
viaggiando comodamente seduti; o al supermercato, facendo la spesa, e
magari chiedendo a casa se manca la marmellata o di che marca debba
essere la carne in scatola per il micio; o in un corridoio d’ospedale,
in attesa dell’orario di visita ai pazienti, o - perché no? – anche in
chiesa, non si sa mai, potrebbe arrivare la chiamata che aspettiamo
tanto ansiosamente, e pazienza se la suoneria si metterà a squillare nel
bel mezzo delle sacre funzioni. Del resto, cosa ci può essere di più
sacro, di più importante, di più essenziale, che poter rispondere ad una
chiamata telefonica, o accedere prontamente alla rete informatica e
venire a conoscenza, in tempo reale, dell’esito di un torneo di calcio, o
di una partita di pallacanestro, o del nome del vincitore di Sanremo, o
dei premiati nella notte degli Oscar, o – semplicemente – dei finalisti
all’Isola dei famosi?
Che
un simile giocattolo costituisca una tentazione troppo ghiotta per
chiunque, e specialmente per un bambino o un adolescente, è cosa che non
dovrebbe stupire alcuno, tanto più sapendo come sono i bambini e gli
adolescenti oggi: dei principini viziati e incapaci, nei quali sono
state uccise sia la fantasia, sia la capacità di stupirsi, ai quali non
viene mai chiesto il più piccolo sacrificio e ai quali tutto è dovuto,
dalla paghetta al vestito firmato; degli antisociali, che non sanno
giocare insieme agli altri, che non sanno adattarsi alle situazioni, che
pretendono di vedere soddisfatto ogni loro desiderio, indipendentemente
dalla situazione generale, perché, caschi pure il mondo, un diritto è
un diritto e una promessa è una promessa, e se i genitori hanno peso il
posto di lavoro o sono stati vittime di un incidente, peggio per loro,
ma i loro rampolli non ne hanno colpa, non devono essere “puniti”,
rinunciando a ciò che era stato loro promesso e a cui sono abituati:
scarpe, vestiti, viaggi, videogiochi, corsi di nuoto e di sci, vacanze
estive di almeno un mese, e settimana bianca in hotel, a Cortina
d’Ampezzo.
Non
parliamo, poi, di doveri, di limitazioni, di saper fare un passo
indietro. Studiare, a scuola, è diventata una cosa del tutto
facoltativa, e se i pargoli non hanno voglia di andarci, nessun
problema, ci pensa la mammina a far loro la giustificazione, adducendo
il mal di denti, o l’influenza, o una necessità familiare; di accudire
un fratellino o una sorellina, di far compagnia al nonno che è sempre
solo, o di andare a fare una visitina alla nonna in casa di riposo, ma
per carità, quando mai, non si può caricarli di tali e tante
responsabilità, sono piccoli, hanno pure il diritto di divertirsi come
tutti gli altri. Aiutare in casa, poi, rassettare la stanza, piegare i
vestiti, tenere in ordine l’armadio o la scrivania, lavare i piatti
qualche volta, apparecchiare la tavola, andare a bottega ogni tanto,
almeno per gli acquisti più semplici: oh, ma che dite, possibile che
abbiate un cuore talmente duro, un animo così di pietra, da non
commuovervi al pensiero di far lavorare e faticare i fanciullini,
negando loro le gioie innocenti della loro età e del loro stato?
Possibile che siate così arcigni, così all’antica, così bisbetici, da
scordarvi che sono solo dei poveri piccini, dei quali non è giusto
approfittare, e non è bello caricare di così penose incombenze?
Del
resto, non è che le cose stiano poi tanto diversamente con gli adulti:
infatti, quando si è stati allevati in questo modo (dire “educati”
sarebbe adoperare una parola troppo impegnativa; meglio “allevati”, come
i pulcini o i conigli), si arriva a trenta, a quaranta, a cinquant’anni
anni, ma non si cresce mai per davvero, non si diventa mai adulti, non
ci si assume mai le proprie responsabilità; si continua ad aspettar la
pappa pronta, a delegare agli altri ciò che sarebbe nostro dovere, e a
scaricare loro addosso, si capisce, ogni eventuale fallimento, perché i
meriti sono personali, ma i fallimenti sono collettivi, e la colpa di
essi è della società, della famiglia, dei colleghi, del tempo, del
destino, insomma di tutti e di nessuno, mai però, assolutamente mai, di
chi se la dovrebbe assumere, se non altro per decenza, dignità e buon
gusto. Ma la decenza , la dignità e il buon gusto sono diventate merci
esotiche ed estremamente rare, quasi evanescenti; e, poi, non si sa bene
cosa siano in effetti: qualcuno ne parla, ogni tanto, ma nessuno le ha
mai viste bene da vicino…
Il
risultato di tutto questo – onnipresenza e insostituibilità di una
tecnologia sempre più sofisticata e sempre più di massa, ma anche sempre
più futile, e una contro-educazione sempre più permissiva, demagogica,
deresponsabilizzante - è che le persone si stanno rimbecillendo. Alla
lettera: si comportano in maniera goffa, maldestra; non sanno più
muoversi fisicamente, attraversare la strada, guidare l’automobile,
eseguire i gesti più semplici e normali – non parliamo, poi, di pensare e
ragionare, cose ormai quasi impensabili e inimmaginabili; e questo
perché la mente è altrove, la connessione non è con il presente, con il
qui e adesso, ma con l’altrove, con il mondo parallelo della realtà
virtuale. Pertanto, vi è come una immane epidemia di autismo: un numero
crescente di esseri umani è regredito, o sta velocemente regredendo,
allo stato autistico: inserisce il pilota automatico e va avanti così,
nel corso della giornata, un giorno dopo l’altro, un mese dopo l’altro,
un anno dopo l’altro, senza vedere, senza ascoltare, senza capire, ma
proiettato perennemente in un ruolo diverso da quello reale, in una
situazione diversa, con interlocutori diversi.
Gli
insegnanti, i sacerdoti, gli amministratori, gli imprenditori, stanno
incominciando ad accorgersene, anche se ancora non sanno dare un nome a
tutto questo, non ne afferrano le cause, non ne comprendono tutte le
implicazioni e la portata devastante. Pensano, sì, di essere alle prese
con un mondo un po’ impazzito, con una utenza, con un pubblico
distratti, irrequieti, o, viceversa, fin troppo abulici, fin troppo
acquiescenti, salvo poi dare segni di una tensione improvvisa, o
esplodere in gesti impensabili e inconsulti, anche di tipo
autodistruttivo: l’adolescente che si uccide per un rimprovero, per un
brutto voto, per una delusione sentimentale. Tuttavia credono che ciò
sia, fino a un certo punto, “normale”; che sia una specie di fase
transitoria, la quale, prima o poi, dovrà pur finire; che basti aver
pazienza e le cose torneranno a posto, com’erano prima. Sì, ora bisogna
spiegare una cosa due volte, quattro volte, otto volte, al ragazzino a
scuola, perché finalmente le capisca, o all’apprendista in fabbrica, o
semplicemente al proprio figlio, in casa: bisogna dire e ripetere
all’infinito anche le cose più semplici e ovvie, senza che mostrino
d’averle comprese, senza che si decidano a metterle in pratica. I
genitori, però, come gli insegnanti, come gli imprenditori, pensano che
si tratti di semplice distrazione, di semplice immaturità, e che una
volta o l’altra non ci sarà più bisogno di dire e ripetere, daccapo,
sempre le stesse cose.
E
magari fosse così! La realtà, invece, è un ‘altra: stiamo assistendo a
una mutazione antropologica; stiamo vivendo la scomparsa della specie homo sapiens, così come l’avevamo sempre conosciuta, e alla comparsa di una nuova specie umana, la specie homo technologicus,
che sente, pensa, parla, mangia, dorme, vive, gioca, studia, lavora e
sogna in modo diverso da noi, in un modo che è ancora tutto da definire,
ma che sarà sempre più differente dal nostro, fino al punto in cui non
ci capiremo più e sarà perfettamente inutile pregare, discutere,
arrabbiarsi, litigare, imprecare, dire le cose una volta o mille volte,
dare l’esempio: non ci sarà alcuna possibilità di reciproca
comprensione. Ma poco male: la nostra specie sta finendo, e quell’altra
avrà il mondo tutto per sé; e i genitori finiranno di preoccuparsi,
angosciarsi e irritarsi con i figli, i capisquadra con gli apprendisti,
le maestre e i professori con gli alunni. Non ci saranno più problemi:
l’homo technologicus sarà la sola specie umana esistente, non
farà confronti, dimenticherà il passato e costruirà un futuro su misura
per se stessa: sempre più tecnologico, naturalmente, sempre più
artificiale, sempre più virtuale, sempre più lontano dalla natura, dalla
vita, dalla legge morale, dai valori universali.
Al
posto della teologia e della metafisica (del resto già praticamente
scomparse), al vertice del sapere, ci sarà l’informatica; al posto del
vedere, dell’udire, del toccare, del gustare, dell’annusare, ci sarà la
simulazione di tali sensazioni; non si farà l’amore, se non attraverso
un computer che riprodurrà tutto quel che provava il vecchio homo sapiens,
e anche qualcosa di più; non ci sarà la cultura, perché nessuno ne
sentirà il bisogno o la mancanza; non si insegneranno la prudenza, la
temperanza, la giustizia e la fortezza, né il gusto del bello, del
giusto, del vero, perché sarà vero, giusto e bello quel che piacerà a
ciascuno, a suo insindacabile giudizio; non ci sarà la famiglia, perché i
figli si faranno affittando l’utero di qualche donna, o servendosi di
qualche incubatrice artificiale, e poi, quando ci si sarà stancati di
allevarli, li si affiderà a qualche apposito istituto; non ci saranno il
maschile e il femminile, perché chiunque potrà stabilire la propria
identità sessuale, giorno per giorno, ora per ora; non ci saranno
limiti, perché il limite è un tabù del vecchio mondo...
Del 01 Aprile 2018
di
Francesco Lamendola
Articolo d’Archivio
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