Che cos’è questa storia della “promulgazione con lettera” che Mattarella ha fatto del codice antimafia?
E’ una brutta storia. Che ha tutto il sapore di
un’incapacità di fare quel che si deve quando ci si trova di fronte al
tabù dell’”antimafia devozionale e forsennata” e colora di assurdo e di
cinismo una funzione che dovrebbe essere di supremo presidio della
libertà, dei diritti delle vite dei cittadini.
E’ inutile ripetere quello che, è stato scritto non solo
da noi, fino a poco tempo fa sparuti allarmisti delle malefatte
dell’antimafia, sulle pericolose e rovinose baggianate di questo
cosiddetto codice.
Quello che nessuno ha osato dire in questa occasione e che
l’inconsueto e grottesco procedimento di “promulgazione” (quasi)
condizionato da parte del Capo dello Stato ha confermato, è che ogni
forma di discussione riserva, opposizione alle frenetiche pretese della
parte più becera e dissennata del Partito dei Magistrati sono avvenute e
avvengono sotto il segno della paura. Della paura di essere
classificati come conniventi della mafia e dei corrotti, di cadere sotto
i colpi di più o meno fantasiose imputazioni (caso Giovanardi) di
ostacolare la “lotta” al male assoluto delle cosche, di essere
dichiarati “incandidabili” (e “invotabili” a candidatura avvenuta) dalle
demenziali omelie della congregazione di Rosy Bindi.
Il Presidente Mattarella con la sua innovativa procedura
della “promulgazione quasi condizionata”, dà sostanzialmente atto delle
gravi incongruenze, delle violazioni non solo delle normative
comunitarie del codice antimafia.
Ammette, sostanzialmente, che sia, comunque, uno strumento
pericoloso e letale. Ma invita nientemeno che un Gentiloni a non
abusare di quell’abuso dei principi del diritto. Come il Governatore
spagnolo di Milano di manzoniana memoria sembra voler dire “adelante,
Pedro, con juicio!”. E questo gli basta per mettersi a posto la
coscienza nel consegnare ad una magistratura, per almeno parte della
quale, che è più direttamente interessato (fino ad oggi) all’uso di
quello strumento, esso è addirittura troppo poco forcaiolo e devastante.
Ma il punto più grave della lettera di Mattarella, in cui, ci spiace dover dire ciò del Capo dello Stato cui dobbiamo, ratione muneris, reverenza e fiducia, affiora qualcosa che è difficile non accostare all’ipocrisia ed al cinismo.
E là dove invita il Governo a “monitorare” il funzionamento della legge.
Provatela, sembra dire, tanto, al più potrà rovinare
qualche altra impresa, disonorare qualche altro cittadino, mettere sul
lastrico altri operai e dipendenti di imprese devastate.
Una prova “in corpore vili” il corpo di questa povera nostra Nazione, quello di altre sue provincie e regioni.
E, poi chi dovrebbe fare il monitoraggio?
Rosy Bindi con i suoi confratelli? E chi dovrebbe
rispondere se non i magistrati, e, soprattutto quegli energumeni togali
per i quali quel cosiddetto codice è ancora troppo poco? E chi oserà
parlare se il Presidente della Repubblica ha parlato a metà?
E, poi, questa trovata della “promulgazione con lettera di
ammonizione” è, in realtà un favore fatto ad un Governo alle prese con
una reazione imprevista della pubblica opinione, della stampa, della
stessa parte ragionevole della magistratura.
C’è , dunque la “lettera di riserva e di ammonizione” del
Presidente. L’invito, se c’è tale invito, ad “andarci piano” (a chi? a
Di Matteo? A Gratteri?). State quindi tranquilli non arriveranno a
toccare anche voi. Non fatene una tragedia. State tranquilli e tirate a
campare.
Ed intanto già tutti stiamo subendo i danni, magari solo quelli indiretti del fanatismo antimafia. Ed aspettiamo il peggio.
A meno che…
Mauro Mellini - 18.10.2017
Nessun commento:
Posta un commento