Donald Trump l’altra notte ha fatto strike. Con i 59
“Tomahawk” lanciati contro la base aerea siriana di Al-Shayrat, il
presidente degli Stati Uniti ha colpito un bel po’ di obiettivi sullo
scacchiere internazionale. Conta meno quanti danni abbiano causato i
missili all’impatto con le infrastrutture prese di mira. Conta molto di
più l’effetto provocato sugli equilibri dello scacchiere Mediterraneo,
del Vicino e del Medio Oriente. Innanzitutto la tempistica. L’ordine
presidenziale è partito negli stessi momenti in cui Trump accoglieva,
nella sua residenza in Florida, il presidente cinese Xi-Jinping.
È da settimane che i toni della Casa Bianca sulle provocazioni
missilistiche del leader della Corea del Nord, Kim-Jong-un, si fanno più
minacciosi. Trump ha chiesto al governo cinese, che funge da lord
protettore del dittatore coreano, d’intervenire. In assenza di risposte
convincenti vi sarebbe stata la reazione degli Stati Uniti. I missili
dell’altra notte sono la dimostrazione che “The Donald” è in grado di
far seguire i fatti alle parole.
Altro messaggio recapitato è al leader turco Recep Tayyip Erdoğan il
quale, dopo anni di tensione con Barack Obama, vuole riaprire il dialogo
con Washington. I missili su Shayrat sono la risposta alle aspettative
turche. Trump aveva anche promesso che avrebbe riportato la piena
sintonia tra con Gerusalemme. Il governo israeliano da tempo denuncia il
pericolo che il rafforzamento di Bashar al-Assad celi un’espansione
dell’influenza nella regione degli Hezbollah e dei loro mandanti
iraniani. I missili dell’altra notte sono la migliore smentita della
politica degli “occhi chiusi” praticata dall’amministrazione Obama.
L’offensiva bellica è stata improvvisa ma non troppo. Fonti del
Dipartimento di Stato Usa rivelano che il Cremlino era stato
preventivamente informato delle intenzioni della Casa Bianca. Ciò ha
consentito ai comandi militari russi presenti in Siria di disporre,
prima dell’attacco, lo spostamento degli aerei e dei mezzi di stanza
nella base di Al-Shayrat. Non a caso nulla dell’apparato bellico russo è
stato danneggiato dai missili.
Con questa mossa Trump, senza scatenare l’inevitabile reazione di
Mosca, ha zittito le voci interne al suo Paese che lo volevano succube
della politica di potenza di Vladimir Putin. Era da subito chiaro che
l’idea di rivoluzionare la politica americana a dispetto di tutti i
poteri forti sarebbe stata poco più di un’utopia. L’unica chance per
Trump di vincere la guerra intestina avrebbe dovuto far leva sulla
rottura del fronte degli oppositori. I missili di Al-Shayrat sono il
suggello al cambio di strategia iniziata con la rimozione del “falco”
Stephen Bannon, ideologo della sua campagna elettorale, da consigliere
per la Sicurezza e la sua sostituzione con il generale Herbert Raymond
"H. R." McMaster, moderato, gradito alle gerarchie militari. Ma se i
missili l’altra notte hanno colpito i simboli del potere di al-Assad,
dove hanno fatto più male è stato in Europa. Uno dei leitmotiv della
campagna elettorale trumpiana è stato l’aperto disconoscimento del ruolo
geopolitico di un’Europa unita. “The Donald” quando ne ha avuto
l’occasione lo ha dimostrato: prima accogliendo con entusiasmo il
premier britannico Theresa May che gli portava in dono l’uscita del
Paese dall’Unione europea, trattando con glaciale freddezza la signora
Angela Merkel nel corso della visita di Stato a Washington e mettendo in
fondo all’agenda, solo alla vigilia dell’inizio del G7 a Taormina,
l’incontro con il premier italiano, Paolo Gentiloni. Segnali che però
avevano la consistenza di punture di spillo rispetto a ciò che è
accaduto l’altra notte.
Il presidente Usa ha deciso l’attacco senza consultare i suoi alleati
europei. È stato patetico osservare l’imbarazzo con il quale i leader
dell’Ue si sono dovuti affrettare a saltare sul carro di Trump senza che
lui glielo avesse chiesto. La dichiarazione congiunta, a cose fatte,
della Merkel e di Hollande di sostegno all’attacco missilistico la dice
lunga sul peso che Washington riservi agli europei. Cosa bisogna
aspettarsi d’ora in poi? Non un’escalation bellica. Quella dell’altra
notte resta un’iniziativa “one-off”, una tantum. Per qualche giorno i
players globali si divideranno, gli uni minacciando sfracelli, gli altri
appoggiando entusiasticamente l’iniziativa. Come da copione. Dopo le
cose torneranno al loro posto ma con qualche significativa novità. Trump
ha fatto sapere al mondo che lui è in palla e intende partecipare alla
partita. Ovunque la si giochi: tra le sabbie desertiche del Medio
Oriente o nelle acque agitate del Mar del Giappone. E, a dare ascolto ai
nostri autorevoli commentatori di regime, costui sarebbe un pazzo e un
incapace?
di Cristofaro Sola - 08 aprile 2017
fonte: http://www.opinione.it
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