Le teste mozzate infilzate sui
pali delle ringhiere, le esecuzioni, gli abusi per strada, i selfie coi
cadaveri. «Sono felici ogni volta che uccidono qualcuno»
Ci sono circa 50 famiglie cristiane rimaste a Raqqa, capitale siriana
del Califfato. Una di queste è quella di John (nome fittizio), 20 anni,
che ha vissuto 18 mesi sotto il controllo dei jihadisti dello Stato
islamico. Fuggito da poco in un’altra città della Siria, mentre la sua
famiglia è ancora là, ha raccontato la sua storia a World Watch Monitor.
«ALLAHU AKBAR». «Noi
stiamo meglio di quelli che vivono ad Aleppo», racconta. «Abbiamo
l’acqua e l’elettricità. Ma devi sempre stare sul chi vive, mai guardare
qualcuno negli occhi quando cammini per strada e sempre fare attenzione
a ciò che dici e non dici». La prima volta che i combattenti
dell’Isis sono entrati vittoriosi in città, ad esempio, «la gente
esultava per le strade e gridava “Allahu Akbar”. Io osservavo e me ne
stavo per conto mio, ma quando un membro dell’Isis mi ha visto con la
bocca cucita, ha fermato l’auto e mi ha squadrato. Allora ho dovuto
gridare anch’io “Allahu Akbar”. Molti a Raqqa li hanno accolti, ma ora
sono pentiti».
«CERCAVANO DI CONVERTIRMI». Per non essere presi e uccisi per strada, è fondamentale avere il documento (foto a fianco) che attesta il pagamento della tassa sempre con sé. «Con il documento, nessuno poteva farci del male in quanto cristiani. Ho parlato spesso con uomini dell’Isis, alcuni erano anche simpatici ma appena scoprivano che ero cristiano cambiavano atteggiamento. Cercavano di convertirmi all’islam. Una volta uno di loro ha visto che non avevo un taglio di capelli islamico. Si è arrabbiato, ma dopo che gli ho mostrato il documento è andato via».
PALLONCINO A FORMA DI CUORE. Un’altra volta l’hanno portato via insieme ad altri ragazzi: alcuni per il taglio di capelli troppo occidentale, altri perché portavano i jeans. Ai primi sono stati rasati i capelli, ai secondi è stato fatto firmare un documento: “Non porterò mai più i jeans”. Per le donne, invece, non c’è scampo: «Mia mamma e mia sorella hanno dovuto coprirsi interamente come le donne musulmane. Ricordo un incidente divertente: un negoziante aveva un palloncino rosso a forma di cuore. E un membro dell’Isis gliel’ha fatto scoppiare, dicendogli che era peccato perché assomigliava al seno di una donna».
«SELFIE CON LE TESTE MOZZATE». John cerca di ricordare gli aspetti divertenti per dimenticare quelli atroci: «Ho visto troppe crudeltà. Ogni venerdì uccidevano qualcuno. Ho visto il primo uomo decapitato in pubblico. Non sono riusciti a tagliargli la testa al primo colpo e soffriva così tanto che gli hanno sparato». La scena più terribile che John ricorda è quando i jihadisti hanno massacrato centinaia di soldati siriani e infilzato le loro teste mozzate su una ringhiera. «Dovevo passare dalla ringhiera tutti i giorni per andare a studiare. Sono rimasto scioccato quando ho visto la gente che si faceva i selfie con le teste. La verità è che sono dei mostri».
«FELICI QUANDO UCCIDONO». Alcuni suoi compagni di scuola si sono uniti all’Isis. Perché? «Alcuni forse per il salario. Ho sentito che danno 1.200 dollari a combattente, più 100 per ogni moglie e 50 per ogni figlio. Li ho visti nei negozi pieni di soldi da spendere. Qualcuno crede davvero di fare una cosa giusta. Si sentono felici ogni volta che uccidono qualcuno. Lo vedi quando fanno giustiziare le persone: ogni settimana trovano un nuovo modo per farlo, le crocifiggono perfino. Grazie a Dio nessun cristiano è stato ucciso solo per la sua fede».
«MI VOGLIO ARRUOLARE». Dopo 18 mesi John è scappato e oggi vive in un’altra città siriana, dove l’esercito di Bashar al-Assad l’ha accolto. «Non ho nessuna intenzione di scappare. Appena avrò finito gli studi, mi unirò all’esercito per riprendermi la mia terra. Questo è il mio paese, non il loro e combatterò per esso. Non so cosa è preso a certa gente: vivevano già in un paese dove la maggioranza è sunnita. E se proprio volevano un islam radicale, potevano andare in Arabia Saudita».
Leone Grotti - 21 febbraio 2016
fonte: http://www.tempi.it
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