No,
caro Attali, Matteo Salvini non è Marine Le Pen e Luigi Di Maio non è
Jean-Luc Melenchon. E soprattutto l’Italia non è la Francia.
Riepiloghiamo a beneficio del lettore: Jacques Attali è uno degli uomini
più potenti di Francia (è colui, tanto ler intenderci, che si vanta
pubblicamente di aver creato dal nulla Macron) ed è uno dei massimi
rappresentanti dell’establishment globalista. Ieri era al Salone di
Torino, intervistato, ça va sans dire, dal direttore di Repubblica Mario
Calabresi e, ça va sans dire, ha criticato il (spero) nascente governo
Lega-5 Stelle, ricorrendo a due classici dello spin, la demonizzazione
personale e l’appello a imprecisati valori condivisi onde evitare lo
spettro di una nuova guerra sul Vecchio Continente.
Secondo l’illustre ospite francese la possibile alleanza Salvini-Di Maio, “in
Francia e in Europa fa lo stesso effetto di un governo Le Pen-Melanchon
a Parigi. Per questo l’Italia deve rapidamente rassicurare l’Europa sui
programmi di governo. Per evitare di diventare il luogo in cui si
scaricano le preoccupazioni del continente“, ha affermato, aggiungendo che “Siamo
tornati al clima che si respirava in Europa nel 1913. Quando le
innovazioni tecnologiche sembravano aprire un orizzonte positivo per
l’umanità. Vinsero invece i particolarismi e un anno dopo scoppiò la
guerra mondiale”.
Ma
queste tecniche non funzionano più. Vede, caro Attali, oggi in Italia
nessuno, a parte forse i lettori di Repubblica, vede Salvini come la Le
Pen, bensì come un leader maturo, dalle idee chiare ma non estremiste,
che non indossa più la felpa ma l’abito intero e che per questo è
diventato rapidamente il leader di tutto il centrodestra; forte ma
rassicurante. E Di Maio non ha proprio nulla in comune con Melenchon,
non è un estremista di sinistra, ma il capo di un movimento che è
diverso rispetto alle origini (secondo alcuni addirittura fin troppo) e
che ha saputo occupare lo spazio lasciato gentilmente vuoto dal Partito
democratico.
E in Italia nessuno pensa che la difesa degli interessi nazionali
rappresenti il prodromo di un nascente nazionalismo imperialista. Siamo
seri: oggi né l’Italia né la Francia hanno ambizioni egemoniche e
militari, che appartengono a un’altra epoca; nutrono, invece,
l’ambizione, anzi la necessità, di costruire un futuro davvero migliore,
di ritrovare stabilità economica, di ridare speranza alle nuove
generazioni, di smettere di essere soffocati da un’imposizione fiscale
stratosferica che negli ultimi 15 anni non solo non è servita a ridurre
il debito pubblico, ma ha reso sempre più povero il Paese fino a
provocare la deflazione salariale.
Siccome l’Unione europea non ha saputo, né voluto, dare ascolto al
crescente malessere delle masse, queste oggi cercano legittimamente
nuove risposte.
Io non so come andranno a finire le trattative, però anche in queste
ore Lega e 5 Stelle stanno dando dimostrazione che è possibile una nuova
politica. Quando mai si sono visti due partiti che, nella massima
trasparenza, trascorrono ore seduti a un tavolo negoziale, non per
spartirsi prioritariamente le poltrome, ma innazitutto per trovare
concretamente e pragmaticamente soluzioni attuabili, di ragionevole
compromesso?
Che differenza rispetto a riti criptici come i Patti del Nazareno o
alle regole opacissime della gestione del potere a Bruxelles, tanto care
ad Attali, che proprio non capisce.
Gli italiani guardano alla Lega e al Movimento 5 Stelle proprio
perché questa Europa e i leader italiani che l’hanno rappresentata,
finora sono stati ciechi, sordi, esasperatamente autorefenziali, come
capita da sempre quando le élite al potere smarriscono il senso della
realtà.
Salvini e Di Maio piacciono non perché sono due pericolosi estremisti
ma perché sanno offrire una parola sconosciuta all’establishment: la
speranza, la voglia di sevire davvero il proprio Paese, di offrire
soluzioni davvero alternative rispetto a quelle retoriche e inefficienti
reiterate in questi anni.
di Marcello Foa - 13 maggio 2018
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