E
poi dicono che gli “eurocrati” dell’Unione europea non diano una mano
ai governi nazionali degli Stati membri. Nascenti o in carica che siano.
È accaduto ieri che, nel pieno di una crisi da impasse della trattativa
Lega-Cinque Stelle sul “contratto di governo”, quando sembrava che
tutto dovesse naufragare in nulla di fatto, giunge da Bruxelles
l’impulso provvidenziale a infondere il giusto entusiasmo nei diretti
interessati nostrani affinché intensifichino il confronto in vista di
una soluzione positiva alla crisi.
È bastato che, quasi all’unisono, ben tre Commissari europei
dicessero la loro sulla situazione italiana, con tanto di toni
ammonitori e moralistici, che sia Matteo Salvini sia Luigi Di Maio,
ricordassero a se stessi perché sono lì e chi ce li ha messi. E per fare
cosa. Nell’ordine, da Bruxelles hanno parlato: Valdis Dombrovskis, vice
presidente della Commissione Ue, l’altro vicepresidente della
Commissione europea Jyrki Katainen e, infine, Dimitris Avramopoulos,
commissario europeo per gli Affari interni, Migrazioni, e Cittadinanza.
Un lettone, un finlandese e un greco. Come l’incipit di una barzelletta:
la sai quella del...? Il trio però non scherzava ma era laconicamente
serio quando in perfetta sequenza ha dichiarato, il primo, che
l’approccio del nuovo Esecutivo italiano deve riguardare la riduzione
del debito; il secondo, che le regole del patto di stabilità e crescita
si applicano a tutti gli Stati membri dell’Ue e non risulta che vi siano
richieste di modifiche della normativa vigente; il terzo, che col nuovo
governo da Roma non vi siano cambiamenti sulla linea della politica
migratoria. Una tripletta di diktat che non poteva non mandare su tutte
le furie i leader impegnati nella trattativa e, con loro, un’ampia parte
di italiani i quali si saranno sentiti ancor più confortati nella
scelta fatta di votare partiti che mostrino di non voler calare le
brache davanti alle intromissioni indebite degli “eurocrati”.
Servivano le loro considerazioni inappropriate per dare una scossa
politica e psicologica al clima stagnante che si era generato dopo la
brusca frenata di Salvini di ieri l’altro. Non c’è nulla da fare: per
quanti sforzi si facciano in patria di rappresentare al meglio il volto
positivo di questa Europa che tanti problemi ha creato agli italiani,
c’è sempre qualcuno a Bruxelles, che sia un greco, un lettone o un
finlandese, pronto a straparlare per fare incazzare non questo o quel
personaggio della politica, ma una nazione intera. Lo dimostra il fatto
che anche le altre forze politiche, che si preparavano a sparare a palle
incatenate sull’impasse del duo Salvini-Di Maio, sono state costrette a
una momentanea tregua per stigmatizzare l’indebita intromissione dei
commissari europei. Segno che a Bruxelles proprio non ce la fanno a
comprendere un concetto peraltro semplice: oltre ai numeri e ai conti
esiste una cosa che si chiama dignità. È pur vero che sette anni di
governi tecnici e del centrosinistra, con la loro naturale attitudine a
piegare la testa verso i poteri sovraordinati, a sentirsi a proprio agio
nel ruolo di fanalino di coda di una comunità di Stati, ci avevano
fatto dimenticare cosa fosse la dignità di un popolo. Ma oggi, e
dovrebbero farsene una ragione anche a Bruxelles e nelle cancelliere
europee che contano, la musica è cambiata. Sarà colpa anche di
quell’eccentrico di un Donald Trump e del suo motto “America first” che
pure dalle nostre parti si è cominciato a pensare che “Prima gli
italiani” potesse essere una buona sintesi per un programma di governo.
Ora non sappiamo se, alla fine, leghisti e pentastellati ce la
faranno a trovare la quadra sul “contratto”, troppo grandi continuano a
essere le distanze tra i due partiti. Tuttavia, se il tentativo andrà in
porto lo si dovrà anche all’uscita infelicissima del trio dei
commissari.
Se un governo giallo-verde vedrà la luce a Roma, a Bruxelles vi
saranno fiori e cioccolatini per un lettone, un finlandese e un greco.
Un biglietto accompagnerà i cadeau. E conterrà il seguente messaggio:
“Cari Valdis, Jyrki e Dimitris, grazie infinite per il vostro
intervento, carico di spocchia e supponenza, negli affari interni del
nostro Paese. Senza di voi non ce l’avremmo fatta a trovare l’intesa per
stare insieme. Senza di voi avremmo corso il rischio di sottovalutare
le ragioni per le quali è necessario venire a Bruxelles non a battere,
semplicemente e inutilmente, i pugni sul tavolo, ma a rovesciarvelo
addosso quel maledetto tavolo che avete trasformato in cattedra dalla
quale impartirci lezioncine morali su come ci si deve comportare per
stare al mondo. A presto ricambiare il piacere che, forse
inconsapevolmente non importa, ci avete reso. Con simpatia tra poco
vostri, Matteo e Luigi”.
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