Le foibe sono una profondità carsica nella nostra memoria collettiva. Un vuoto popolato di fantasmi reali e presunti che si rincorrono e mai hanno la forza necessaria per palesarsi.
Quando fu istituito il Giorno del ricordo l’intento era chiaro: fare in modo che non vi fosse alcun silenzio su fatti accertati e tenuti nascosti per troppo tempo, e si ricordasse il sacrificio di tutti gli uomini, le donne e i bambini colpevoli solo di essere italiani. E invece tutto è diventato sulfureo come la polvere e il buio di quelle cavità nelle rocce. Financo le alte cariche dello Stato, come capitato anche in anni recenti, si dimenticano di celebrare con dignità e piena consapevolezza un tale abominio. Qualche citazione, una frase di circostanza negli abituali e noiosi discorsi preparati dagli uffici stampa o da asettici ghostwriter, e nulla più.
In realtà, quello che
accade ai primi di febbraio di ogni anno, è vergognoso e disperante. Il
dibattito si accende ma prende una piega laterale e sbagliata, ponendo
questo tema con sofisticata scaltrezza ad una parte consistente
dell’opinione pubblica che già di suo poco sa e poco vuole sapere. E pur
tuttavia, la questione viene sempre presa per il verso sbagliato. E
così c’è sempre qualche mente illuminata dell’Anpi che cerca di
circoscrivere il fenomeno in parametri ristretti o addirittura negarlo;
chi, pur riconoscendo una tale vergogna, indirettamente costruisce
plausibili motivazioni di politica estera, di rancore bellico; chi mette
in mezzo i fascisti e la loro precedente violenza e via così.
La vicenda di Simone Cristicchi di qualche anno fa risulta ancora paradigmatica. Il suo spettacolo Magazzino 18
ebbe tanti e tali impedimenti, manifestazioni contro e attacchi di
vario genere, nemmeno si fosse peritato di declamare con orgoglio e
fierezza le pagine più tetre del Mein Kampf. E invece stava
rappresentando fatti accaduti alcuni decenni fa e che hanno visto,
purtroppo, tanti nostri connazionali essere assassinati per il solo
fatto di appartenere ad una comunità. Ma la sua vicenda è una delle
tante che si sommano in lungo e in largo sul nostro territorio.
Come la squallida routine
impone, anche quest’anno l’andazzo pare infatti simile. Frotte di
nostalgici di ogni schieramento che deviano l’interpretazione dei fatti
su binari poco consoni alla verità, l’associazione dei partigiani che
nel migliore dei casi fa ‘’buon viso a cattivo gioco’’ oppure, per
fortuna in casi isolati, ancora nega l’evidenza, e alte cariche
istituzionali che, con malcelata fatica, riescono a profferire qualche
parola solo poche ore prima del 10 febbraio svelando così una adesione
al contesto generale di commemorazione più imposta da obblighi
istituzionali che da reale e partecipato dolore.
Le foibe restano una
cavità che squarcia ancora la nostra memoria e da essa fanno capolino i
fantasmi di tutta la storia recente che è in larga parte a servizio
delle piccole beghe politiche e di mestieranti della cultura. A distanza
di tanti decenni non si riesce a dare un senso a quel dolore e a
rivolgere una solidale e collettiva preghiera per quegli innocenti,
senza incomprensibili distinguo o paventate e inconsapevoli
giustificazioni.
E fin quando il nostro
Paese non si scollerà di dosso i cascami di una dialettica politica
sempre combinata con la falsa e capziosa storiografia sarà preda degli
spasmi di ogni sorta di radicalismo e mai potrà porre la parola ‘fine’
su questa interminabile, penosa e logorante guerra civile.
di Luigi Iannone - 9 febbraio 2018
Nessun commento:
Posta un commento