Ma non provate vergogna,
voi della Sette, Floris, Mentana e voi Autorità Vigilanti, Presidenti
di Camere, Senato, Anpi, Femministe, davanti alla schifosa, incivile
battuta di Gene Gnocchi – se questo è un comico – sulla scrofa che
razzola tra i rifiuti romani e che lui ha battezzato con la genialità di
un demente malvagio, Claretta Petacci?
Non stiamo parlando della macabra e bestiale
macelleria di Piazzale Loreto, che fa vergognare ogni paese civile; non
parliamo nemmeno della feroce vendetta contro un dittatore, un regime,
una guerra. Qui parliamo di una donna che per amore solo per amore volle
stare a fianco del suo uomo anche nella cattiva sorte, fino a
condividere la morte, e prima lo stupro e poi lo scempio del cadavere.
Non ebbe responsabilità durante il fascismo,
Claretta Petacci, non trasse profitto, non spinse mai Mussolini verso
nessuna scelta feroce, non fece cerchi magici intorno al Duce. Fu amante
appassionata e devota, spesso tradita, sempre ferita dall’essere
comunque l’altra rispetto alla moglie e alla madre dei suoi figli.
E persino lei, la sanguigna, verace Rachele,
non ebbe parole di odio per la donna che restò al fianco di suo marito
fino a farsi trucidare con lui, ma si lasciò sfuggire un moto sommesso
di affetto e perfino di dolcissima invidia, perché avrebbe voluto essere
stata lei al suo posto. Claretta riuscì ad essere consorte davanti
alla morte.
I versi di un grande poeta come Ezra Pound
su Ben e Clara appesi per i calcagni resteranno nei secoli. Del resto
ognuno ha il cantore che si merita: c’è chi ha Ezra Pound e c’è chi ha
Gene Gnocchi. C’è chi rispetta la pietas verso i mortie si inchina
davanti alla tragedia e chi invece sogghigna come una iena ridens.
Ricordo anni fa che uno storico divulgatore,
di cui per carità verso un defunto taccio il nome, scrisse un libro
sugli amorazzi di Mussolini, sulle sue amanti e i suoi figli illegittimi
e per promuovere il libro organizzò una cena in tema. Nel menù c’era
“petto di tacchino farcito alla Claretta”. Mi
parve allora bestiale quell’allusione spiritosa al petto della Petacci e
soprattutto alla farcitura che poi nella realtà fu una sventagliata di
proiettili.
Ma quella spiritosaggine triviale sembra oggi una delicatezza da gentleman rispetto alla battuta da porcile di Gnocchi. Femminicidio,
violenza alle donne, sessismo di chi considera l’amante femminile
sempre una troia, volgarità in tv, correttezza di linguaggio: vanno
tutti a puttane nel silenzio generale, col sorrisino compiaciuto di
Floris, davanti a quell’atroce, feroce porcata di Gnocchi.
Mi auguro che sia solo un frutto di abissale ignoranza,
anche se è difficile pensare che uno anziano come Gnocchi non sappia
almeno per sommi capi la storia. Un’ignoranza becera, comunque aggravata
dal fatto che insultare i fascisti, calpestare i cadaveri loro e dei
loro congiunti, è facile, hai dalla parte tua le istituzioni, i media,
il conformismo della cultura, i parrucconi e i maestri censori. Magari
ti scappa un contratto, una menzione, un elogio per il tuo intrepido
coraggio antifascista.
Mi auguro che la gente lo cancelli
definitivamente dal novero dei comici; che resti a fare le sue serate
comiche nei centri sociali, ma di quelli antagonisti feroci, o all’Anpi
che non ha mai un moto di umanità verso i morti, i vinti e i trucidati o
nelle sette sataniche.
Che racconti a loro le sue troiate. E che finisca lui tra i rifiuti della tv spazzatura, insieme alla scrofa di cui ha meritato la parentela.
di Marcello Veneziani
MV, Il Tempo 18 gennaio 2018
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