Ma che c’entrano i falsi profughi con la Natività? E la “tenerezza rivoluzionaria” alla “Che” Guevara? Perfino nel "discorso politico", camuffato da omelia del santo Natale, il (falso) papa Bergoglio non ha saputo trattenersi di Francesco Lamendola
Ma che c’entrano i falsi profughi con la Natività?
di
Francesco Lamendola
Perfino
nella omelia del santo Natale, il (falso) papa Bergoglio non ha saputo
trattenersi; e, invece di offrire ai fedeli uno spunto di spiritualità,
di trascendenza, il senso verticale di Dio che si fa uomo e degli uomini
che aspirano a Dio, ci ha restituito, per la centesima, per la
millesima volta, come sempre, come ormai quasi ogni giorno, il senso
della orizzontalità, della secolarizzazione, della immanenza. Non ha
parlato di Gesù che nasce, ma dei falsi profughi che cercano accoglienza
presso i nostri cuori, duri ed egoisti, e che bussano alle nostre
porte, di noi ricchi e indifferenti cittadini del Nord del mondo, che ce
ne infischiamo delle loro sofferenze e pensiamo solo al Presepio, ai
regali e al pranzo natalizio. Eh, sì:; che vergogna. Come quando si è
recato a Lampedusa, ha gettato una corona di fiori nel mare delle
“stragi” (chi sa perché stragi, poi? il vocabolario non dà questa
definizione di “strage”) e ha detto a voce alta, con tono tagliente,
sdegnato, da giudice implacabile, lui così misericordioso: Vergogna!
Insomma,
anche l’omelia di Natale è diventata un sermone politico e un ennesimo
spot a favore della cittadinanza agli stranieri. Ancora una vola ha
strumentalizzato il Vangelo, lo ha piegato nella direzione da lui
voluta: da lui, o da quelli che lo hanno messo, sfortunatamente, sul
seggio pontificio, a occupare la cattedra di san Pietro. Guarda caso, è
la stessa direzione che sta seguendo la politica di George Soros e che
rientra nei pani dell’élite finanziaria globale. E non si creda
che queste sono le critiche, acide e forse ingenerose, di qualche
ultratradizionalista; sono anche le critiche di un pensatore marxista
come Diego Fusaro, secondo il quale il papa si sta mettendo al servizio
della “mondializzazione” e dello “sradicamento capitalistico”; di più:
che giudica il suo discorso di Natale più ispirato a Soros che a
Cristo”. Questa, sì, che è una vergogna incancellabile, la vergogna
suprema, perfino dal suo punto di vista: che il papa cattolico
si faccia accusare di essere al servizio del supercapitalismo proprio da
un filosofo marxista; lui che gongolava tutto quando il presidente
marxista della Bolivia, Morales, gli ha regalati un Crocifisso costruito
dentro una falce e martello, e lo ha preso con gioia, facendosi
fotografare come se fosse perfettamente a suo agio con quel dono fra le
mani.
Ed ecco la sua omelia natalizia, ad eccezione delle prime battute introduttive:
Per
decreto dell’imperatore, Maria e Giuseppe si videro obbligati a
partire. Dovettero lasciare la loro gente, la loro casa, la loro terra e
mettersi in cammino per essere censiti. Un tragitto per niente comodo
né facile per una giovane coppia che stava per avere un bambino: si
trovavano costretti a lasciare la loro terra. Nel cuore erano pieni di
speranza e di futuro a causa del bambino che stava per venire; i loro
passi invece erano carichi delle incertezze e dei pericoli propri di chi
deve lasciare la sua casa. E poi si trovarono ad affrontare la cosa
forse più difficile: arrivare a Betlemme e sperimentare che era una
terra che non li aspettava, una terra dove per loro non c’era posto. E
proprio lì, in quella realtà che era una sfida, Maria ci ha regalato
l’Emmanuele. Il Figlio di Dio dovette nascere in una stalla perché i
suoi non avevano spazio per Lui. «Venne fra i suoi, e i suoi non lo
hanno accolto» (Gv 1,11). E lì… in mezzo all’oscurità di una città che
non ha spazio né posto per il forestiero che viene da lontano, in mezzo
all’oscurità di una città in pieno movimento e che in questo caso
sembrerebbe volersi costruire voltando le spalle agli altri, proprio lì
si accende la scintilla rivoluzionaria della tenerezza di Dio. A
Betlemme si è creata una piccola apertura per quelli che hanno perso la
terra, la patria, i sogni; persino per quelli che hanno ceduto
all’asfissia prodotta da una vita rinchiusa. Nei passi di Giuseppe e
Maria si nascondono tanti passi. Vediamo le orme di intere famiglie che
oggi si vedono obbligate a partire. Vediamo le orme di milioni di
persone che non scelgono di andarsene ma che sono obbligate a separarsi
dai loro cari, sono espulsi dalla loro terra. In molti casi questa
partenza è carica di speranza, carica di futuro; in molti altri, questa
partenza ha un nome solo: sopravvivenza. Sopravvivere agli Erode di
turno che per imporre il loro potere e accrescere le loro ricchezze non
hanno alcun problema a versare sangue innocente. Maria e Giuseppe, per i
quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare Colui che viene a
dare a tutti noi il documento di cittadinanza. Colui che nella sua
povertà e piccolezza denuncia e manifesta che il vero potere e
l’autentica libertà sono quelli che onorano e soccorrono la fragilità
del più debole. In quella notte, Colui che non aveva un posto per
nascere viene annunciato a quelli che non avevano posto alle tavole e
nelle vie della città. I pastori sono i primi destinatari di questa
Buona Notizia. Per il loro lavoro, erano uomini e donne che dovevano
vivere ai margini della società. Le loro condizioni di vita, i luoghi in
cui erano obbligati a stare, impedivano loro di osservare tutte le
prescrizioni rituali di purificazione religiosa e, perciò, erano
considerati impuri. La loro pelle, i loro vestiti, l’odore, il modo di
parlare, l’origine li tradiva. Tutto in loro generava diffidenza. Uomini
e donne da cui bisognava stare lontani, avere timore; li si considerava
pagani tra i credenti, peccatori tra i giusti, stranieri tra i
cittadini. A loro – pagani, peccatori e stranieri – l’angelo dice: «Non
temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo:
oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo
Signore» (Lc 2,10-11). Ecco la gioia che in questa notte siamo invitati a
condividere, a celebrare e ad annunciare. La gioia con cui Dio, nella
sua infinita misericordia, ha abbracciato noi pagani, peccatori e
stranieri, e ci spinge a fare lo stesso. La fede di questa notte ci
porta a riconoscere Dio presente in tutte le situazioni in cui lo
crediamo assente. Egli sta nel visitatore indiscreto, tante volte
irriconoscibile, che cammina per le nostre città, nei nostri quartieri,
viaggiando sui nostri autobus, bussando alle nostre porte. E questa
stessa fede ci spinge a dare spazio a una nuova immaginazione sociale, a
non avere paura di sperimentare nuove forme di relazione in cui nessuno
debba sentire che in questa terra non ha un posto. Natale è tempo per
trasformare la forza della paura in forza della carità, in forza per una
nuova immaginazione della carità. La carità che non si abitua
all’ingiustizia come fosse naturale, ma ha il coraggio, in mezzo a
tensioni e conflitti, di farsi “casa del pane”, terra di ospitalità. Ce
lo ricordava San Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura! Aprite, anzi,
spalancate le porte a Cristo» Nel Bambino di Betlemme, Dio ci viene
incontro per renderci protagonisti della vita che ci circonda. Si offre
perché lo prendiamo tra le braccia, perché lo solleviamo e lo
abbracciamo. Perché in Lui non abbiamo paura di prendere tra le braccia,
sollevare e abbracciare l’assetato, il forestiero, l’ignudo, il malato,
il carcerato (cfr Mt 25,35-36). «Non abbiate paura! Aprite, anzi,
spalancate le porte a Cristo». In questo Bambino, Dio ci invita a farci
carico della speranza. Ci invita a farci sentinelle per molti che hanno
ceduto sotto il peso della desolazione che nasce dal trovare tante porte
chiuse. In questo Bambino, Dio ci rende protagonisti della sua
ospitalità. Commossi dalla gioia del dono, piccolo Bambino di Betlemme,
ti chiediamo che il tuo pianto ci svegli dalla nostra indifferenza, apra
i nostri occhi davanti a chi soffre. La tua tenerezza risvegli la
nostra sensibilità e ci faccia sentire invitati a riconoscerti in tutti
coloro che arrivano nelle nostre città, nelle nostre storie, nelle
nostre vite. La tua tenerezza rivoluzionaria ci persuada a sentirci
invitati a farci carico della speranza e della tenerezza della nostra
gente.
In
questo discorso, nel quale invano si cercherebbe un sia pur minimo
afflato spirituale, un sia pur minimo senso della trascendenza, ma dove
si trova sempre e soltanto quella che Antonio Socci ha chiamato
“l’ossessione” di Bergoglio per il tema dei migranti, al novanta per
cento falsi profughi i quali non sono affatto “costretti”, come dice il
(falso) papa, a scappare dai loro Paesi, perché niente e nessuno li
insegue e li forza, ma che sono guidati unicamente da ragioni di
carattere economico, e in non pochi casi, da ragioni di delinquenza e di
terrorismo, in questo discorso, dunque, Bergoglio paragona Gesù
Bambino, con sua Madre e il suo padre adottivo, a una famiglia di
profughi che vengono da molto lontano e che affrontano in terra
straniera, fra mille difficoltà e incomprensioni, vittime di infiniti
pregiudizi e di forme si sfruttamento, un destino ignoto, in cerca di
una vita migliore. Niente di più falso; niente di più menzognero. Lo
stesso Bergoglio ha ricordato, sulla base del racconto evangelico, che
Maria e Giuseppe si misero in cammino verso Gerusalemme e Betlemme
perché l’imperatore romano aveva indetto un censimento di tutta la
popolazione. La coppia dei giovani sposi doveva uscire dalla Galilea,
aggirare il territorio dei Samaritani (coi quali gli Ebrei non se la
intendevano per niente) e poi salire a Gerusalemme, da cui Betlemme
dista pochi chilometri, dopo aver costeggiato la sponda del fiume
Giordano. Niente profughi, niente fuga, niente speranza di una vita
migliore in un mondo diverso: ma tutto all’interno della Palestina, un
Paese molto piccolo (l’odierno Stato d’Israele ha una superficie di
20.000 kmq: poco più del Veneto) e costantemente a contatto con gente
della stessa razza, della stessa lingua, della stessa fede religiosa.
Altro che migranti, traversate del deserto e del Mar Mediterraneo,
barconi, viaggi clandestini a bordo dei Tir, magari nascosti sotto i
veicoli, semi-assiderati dal freddo e semi-soffocati dai vapori di
scarico. Non si vuol dire, con questo, che quello di Maria e Giuseppe
sia stato un viaggio comodissimo; si vuol dire che è stato un viaggio
assolutamente non paragonabile, neppure in senso simbolico e figurato, a
quelli dei cosiddetti migranti dei nostri giorni. Sapete qual è la
distanza fra Nazareth e Gerusalemme, in linea d’aria? Cento chilometri.
E, a proposito, Gesù non è nato in una stalla perché i suoi genitori
erano poveri, ma perché la città di Gerusalemme era sovraffollata di
viandanti a causa del censimento, e tutti gli alberghi erano pieni.
Certo, se Giuseppe fosse stato ricco, un letto glielo avrebbero pur
trovato; ma non era affatto così povero da dover puntare senz’altro su
una capanna di pastori. Quello fu un incidente di percorso: mentre
cercava ospitalità presso qualche parente di Betlemme, probabilmente;
certo che non credevano, né lui, né Maria, che la nascita del Piccolo
fosse così imminente, altrimenti non avrebbero vagato per la campagna, a
notte inoltrata. Perché un bambino possa venire al mondo con un minimo
di sicurezza, non basta un tetto qualsiasi sopra la testa; ci vuole la
presenza di qualcun altro, per ogni eventualità: di donne un po’
esperte, di una levatrice. Giuseppe non era un incosciente, e Maria
nemmeno.
Il
ricatto morale finale del discorso di Bergoglio, con quella pretesa di
far credere ai cattolici che solo aprendo le frontiere dell’Italia a
qualsiasi quantità di migranti/invasori islamici, si accoglie degnamente
la nascita di Gesù Cristo, si fonda, in gran parte, su questo voluto
equivoco. Gesù non era ricco, la sua famiglia non era ricca; ma non
erano nemmeno poveri. Suo padre Giuseppe aveva un lavoro regolare e
stimato dai paesani: era falegname, o forse carpentiere; il tenore di
vita della sua famiglia era del tutto simile a quello medio dell’epoca,
in Palestina. Gesù non è cresciuto fra gli stenti, così come non è nato
in una mangiatoia per l’estrema miseria dei suoi genitori: questa è una
favola, raccontata oltretutto in malafede, a cui non credono neppure i
bambini. Ma Bergoglio era troppo ansioso di arruolare Gesù nell’esercito
dei rivoluzionari, dei poveri che lottano per la giustizia sociale.
Infatti, alla fine del suo comizio, pardon, della sua omelia
natalizia, non esita ad adoperare espressioni come “tenerezza
rivoluzionaria” per definire i sentimenti che Gesù ci ispira, volendo
che noi apriamo le porte ai migranti: un concetto che non ha nulla di
cattolico, nulla di religioso, e che piega il Vangelo alle logiche
politiche di un pontificato interamente politico. Ma la “tenerezza
rivoluzionaria”, non era quella di un certo Ernesto “Che” Guevara? Cosa
c’entra una simile espressione per definire i sentimenti che Dio ispira
agli uomini? Sembrano presi dal vecchio magazzino dell’ideologia
marxista in disarmo: è un linguaggio che, in qualsiasi altra sede,
farebbe semplicemente ridere, come già faceva sorridere perfino ai tempi
d’oro del ’68 e della Contestazione studentesca; oggi, però, il (falso)
papa se lo può permettere, senza che la gente rida, nella santa Messa
di Natale, rivolgendosi a un miliardo e passa di cattolici. Complimenti:
una mistificazione quasi perfetta, visto che hanno abboccato quasi
tutti.
Quasi,
però. A un certo numero di persone, il suo discorso non è piaciuto per
niente. Non c’era in esso il senso del soprannaturale: si è dimenticato
di ricordare che quel bambino era il Bambino; che non era solo un
piccolo d’uomo, ma era Dio Incarnato per amore dell’umanità; oh,
un’inezia, che volete che sia; un dettaglio da nulla. E i critici, ormai
lo si sa, sono i soliti incontentabili, i soliti ultratradizionalisti,
sordi e chiusi nel loro sfrenato e xenofobo nazionalismo italiano e nel
loro viscerale e scriteriato integralismo cattolico, tipicamente e
incorreggibilmente fondamentalista. Perché lo ha detto, il (falso) papa
Beroglio, durante il viaggio “apostolico” in Myanmar, che anche noi
cattolici abbiamo i nostri integralisti, come gli islamici hanno i loro.
Certo, i loro ammazzano e sgozzano un po’ di gente, specialmente preti e
cattolici inermi; i nostri, no. Ma che volete? Nessuno è perfetto, e
anche questi son dettagli da nulla. Se non altro, ora sappiamo come la
pensa su di noi…
Del 27 Dicembre 2017
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