Sono mesi frenetici in Arabia Saudita. È di qualche settimana fa la notizia che, finalmente, anche le donne del regno potranno
guidare. Una svolta epocale, hanno detto tutti. Peccato che in Siria,
per esempio, questo accada da decenni, così come in molti Paesi
mediorientali e che l’Arabia Saudita fosse l’unico Stato al mondo a
proibirlo. Il divieto, inoltre, come scrive il quotidiano Okaz,
rimarrà in vigore fino al 23 giugno del 2018. Chi violerà questa norma,
“rassicurano” da Riad, non andrà in prigione, ma dovrà pagare solamente
una sanzione che va dai 133 ai 239 dollari.
Ma c’è di più. Recentemente, le autorità saudite hanno annunciato l’istituzione del The King Salman Complex con sede a Medina. Come riporta La Stampa,
il complesso ospiterà “un consiglio di studiosi d’élite provenienti da
tutto il mondo, con il compito di sradicare false ed estremiste
interpretazioni attraverso la stessa lettura dei hadith del
profeta Muhammad”. Insomma, nota giustamente il quotidiano di Torino,
l’iniziativa suona “un po’ come una vera ammissione del problema e la
volontà ancora più concreta rispetto al passato di combatterlo dalla
radice. Quello della divulgazione estremista e violenta pericolosamente
tollerata e incoraggiata dal wahhabismo, è sempre più evidente come sia
diventata una minaccia interna per lo stesso Regno. Ma queste iniziative
sono anche la prova di nuovi posizionamenti tra il nuovo potere in
ascesa con il giovane Mohammad bin Salman e i clerici”. È un’ipotesi, certamente. Il problema è che proprio il
giovane Mohammad bin Salman ha usato gli islamici radicale per
combattere in Siria. Ma c’è di più. Secondo quanto scritto da Yahya Ababneh in un reportage su Mintpress,
furono proprio i servizi segreti sauditi, guidati all’epoca dal
principe Bandar, a fornire le armi chimiche ai ribelli della Ghouta
orientale. E ci sarebbe sempre Mohammad bin Salman dietro la
pianificazione della guerra in Yemen. L’obiettivo del principe – ben
espresso in Vision 2030 – è infatti l’egemonia dell’Arabia Saudita in tutto il Medio Oriente. Ed è disposto a tutto per raggiungerla.
Come ha scritto Davide Malacaria su queste pagine,
“il piccolo principe saudita ha aperto tanti, troppi fronti. Tutta
questa conflittualità può risultare ingestibile. E procurare tanti
danni. Anche a lui”. Per questo, le recenti aperture del regno sono solamente
un’operazione di restyling. In Arabia Saudita, molto probabilmente,
cambierà poco o nulla. Ma lo Stato sunnita potrà mostrarsi più aperto
agli occhi dell’Occidente. Quasi nuovo. Un grande bluff che rischia di
travolgere il Medio Oriente. E non solo.
di Matteo Carnieletto - 23 ottobre 2017
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