“Il Ministero della Difesa smentisce le notizie relative all’invio di
militari italiani in Niger. Si sottolinea che non vi è nessuna ipotesi
operativa al riguardo. La simulazione e pianificazione di tali azioni
rientra nella normale attività addestrativa degli Stati Maggiori e
riguarda le principali aree di crisi”.
Con questa nota il Ministero della Difesa le notizie diffuse dal quotidiano La Repubblica
circa la messa a punto dell’Operazione militare italiana “Deserto
Rosso” tesa a contrastare i flussi di immigrati illegali che dal Niger
raggiungono la Libia.
Qui sotto l’articolo di Gianluca Di Feo.
L’operazione Deserto Rosso non sarà per niente facile. Schierare
un contingente militare italiano nelle dune del Niger settentrionale
comporta costi e rischi altissimi. Serviranno almeno cinquecento uomini,
con veicoli blindati ed elicotteri, che dovranno venire interamente
riforniti con gli aerei e saranno costretti a muoversi sempre nella
sabbia. Ma l’Europa crede di non avere più alternative per arginare
l’esodo dei migranti verso le coste siciliane.
Agire in Libia è impossibile e allora si cerca di sbarrare la
rotta dei disperati più a sud: semplice a parole, molto più complesso da
realizzarsi. Il governo Gentiloni non ha ancora preso una decisione ma
lo Stato Maggiore della Difesa sta cercando di definire i piani della
missione, che ha il sostegno pieno di Berlino e vedrà un ruolo chiave di
Parigi. Il primo problema è proprio questo: nel Sahel l’asse
franco-tedesco è già consolidato, con truppe attive in più paesi, e non
sembra disposto a dare spazio all’Italia nella cabina di regia: ben
vengano i nostri soldati, a patto che non intacchino la sfera
d’influenza altrui.
La macchina dell’intervento però è in marcia. Il primo passo
formale lo hanno mosso pochi giorni fa i ministri degli Interni, Marco
Minniti e Thomas de Maizière, chiedendo a Bruxelles di autorizzare la
spedizione. Gli obiettivi sono in parte di natura umanitaria: avviare
“programmi di sviluppo per le comunità lungo la frontiera” tra Libia e
Niger. E in parte di polizia: dare “assistenza tecnica e finanziaria
agli organi libici incaricati di contrastare l’immigrazione
clandestina”.
In pratica, si tratta di addestrare un corpo di guardie di
confine libiche, come previsto dagli accordi siglati a Roma tra una
sessantina di tribù del Sud, inclusi i Suleiman e i Tuareg. Poiché
nessuno dei governi libici è disposto ad accettare la presenza di forze
straniere, la soluzione è creare una base in Niger. Lo Stato africano
infatti è aperto alla collaborazione ed ospita reparti americani,
francesi e europei, impegnati nella lotta agli jihadisti e nel contrasto
ai trafficanti.
Questo sarà il compito più difficile: potenziare il ruolo dei
gendarmi nigerini, accompagnandoli nell’identificazione degli schiavisti
e nell’assistenza ai migranti. Da mesi c’è un piccolo contingente
europeo, chiamato Eucap, che si occupa già di insegnare alle polizie
locali le tecniche di azione e gli fornisce i mezzi. Pochi istruttori e
parecchi fondi: l’Ue ha messo sul tavolo 610 milioni di euro, la
Germania altri 77 mentre l’Italia ne ha offerti una cinquantina. Una
pioggia di milioni per un governo poverissimo, nonostante il Paese abbia
risorse preziose come le miniere d’uranio gestite dalla Francia.
Una quota dei finanziamenti è destinata allo Iom,
l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, che lo scorso anno li
ha usati anche per costruire cinque centri di accoglienza, dove vengono
nutriti e ospitati i disperati che varcano il deserto, cercando di
convincerli a tornare nel loro paese con incentivi economici e viaggi
sicuri. Nel 2016 in cinquemila hanno accettato il rimpatrio: numeri che
si cercherà di aumentare, finora irrisori rispetto all’esodo.
Secondo lo Iom, lo scorso anno 417 mila persone hanno
attraversato il Niger dirette verso il Mediterraneo: quasi 300 mila
hanno sicuramente preso la strada verso la Libia. Il che significa che
sulle coste della Tripolitania in almeno centomila stanno aspettando di
salire su un gommone. Un’industria dello sfruttamento che arricchisce
non solo gli scafisti, ma anche le milizie tribali che dominano i
valichi e le polizie corrotte che chiudono un occhio.
Ed ecco la necessità di rinforzare i controlli con la presenza di
militari europei che, ad esempio, sequestrino i camion dei trafficanti.
Il grande snodo delle migrazioni è Agadez, nel cuore del Paese, c’è già
una base della missione Ue, che potrebbe venire potenziata. Ma la nuova
spedizione dovrebbe mettere le tende molto più a ridosso delle
frontiere settentrionali, per intercettare le carovane che aggirano i
posti di blocco e addestrare le guardie di confine libiche.
Una delle località prese in considerazione è Madama, dove sorgeva
l’ultima postazione della Legione straniera prima delle colonie
mussoliane: un fortino tra le dune, che sembra uscito dalle scene di
film come Beau Geste.
Tre anni fa i parà francesi hanno rioccupato l’antica roccaforte,
costruendo una pista d’atterraggio: l’elemento decisivo per qualunque
schieramento, perché lì tutto deve arrivare dal cielo, che si tratti di
cibo, carburante o ricambi. E per gli italiani, che già riforniscono i
soldati presenti in Afghanistan e in Kurdistan contando soltanto sul
ponte aereo, questo è l’ostacolo logistico più complicato. Non è l’unica
difficoltà: in tutta l’area sono attive squadre jihadiste micidiali. Le
guida il leggendario “Mister Malboro” Mokhtar Belmokhtar, il
contrabbandiere convertito alla guerra santa, che si è imposto come uno
dei comandanti fondamentalisti più feroci e imprevedibili.
Foto: Base militare francese Madama – Niger settentrionale (fonte Ministero della Difesa francese)
18 maggio 2017 - di Redazione
fonte: http://www.analisidifesa.it
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