Ma che nazionalista è il premier Matteo Renzi quando, a
proposito della polemica nata con Bruxelles sugli aiuti alla Turchia,
dice cose del tipo “noi siamo l’Italia, non accetto provocazioni, il
nostro mestiere è salvare le vite. Noi continueremo a essere uomini,
nonostante i professionisti della polemica provino a rilanciare ancora
da Bruxelles con una distinzione che nessuna persona può cogliere tra
vite da salvare”. Verrebbe da alzarsi in piedi e cantare l’Inno di
Mameli se non fosse che quelli del Presidente del Consiglio sono gli
ultimi disperati espedienti retorici per nascondere il profondo rosso in
cui si trova il bilancio italiano, scassato a colpi di mancette
elettorali elargite con l’utilizzo della spesa pubblica mascherata sotto
lo pseudonimo di flessibilità.
A Renzi non frega nulla dei poveri migranti, della Turchia, della
grandeur italica e della burocrazia europea che frustra i nostri
desideri di sviluppo. Renzi sta banalmente mercanteggiando uno
sforamento di due o tre miliardi facendo il classico gioco delle tre
carte: prima ha finto di non sapere che i contributi dei singoli Stati
destinati all’emergenza immigrazione in Turchia fossero fuori dal Patto
di Stabilità e poi l’ha buttata in vacca chiedendo in maniera molto
prosaica che anche i due/tre miliardi che l’Italia spende per accogliere
i rifugiati vadano in deroga (Alfano in passato, mentendo, parlava di
cifre molto più basse).
Juncker, che sarà pure un euroburocrate ma non uno scemo, ha capito
subito il giochetto al rialzo ed ha avuto vita facile nello sbugiardare
Renzi. Gli è bastato ricordare che l’Italia era a conoscenza da mesi del
fatto che, mentre per i contributi elargiti dall’Ue alla Turchia si
conosce l’esatto ammontare, per l’Italia le clausole di flessibilità
andranno valutate in primavera sulla base di una rendicontazione delle
spese effettivamente sostenute per l’accoglienza. Il socialista
Moscovici ha rincarato la dose ricordando al Premier italiano che
“naturalmente la flessibilità esiste in Europa e l’Italia beneficia
copiosamente di questa flessibilità”.
Tradotto, ciò significa che Renzi è stato clamorosamente tanato,
beccato come un ragazzino con le dita nel deficit e con i conticini
truccati sulla legge di stabilità e sta tentando manovre diversive per
non essere mandato in punizione dalla troika. Tra pacchetti sicurezza,
indennità culturali e continue richieste di deroghe rispetto al patto di
stabilità, l’impressione degli euro-guardiani è che si tratti di
diversivi che nascondono misure di natura domestica (elettorale?),
calderoni dentro cui inguattare sgravi fiscali e spese in deficit - che
nulla c’entrano con l’accoglienza dei rifugiati - finalizzate ad
alimentare la domanda interna. Renzi sta barando ed è per questo che
Juncker ha preteso di vedere in primavera le pezze d’appoggio per capire
se la flessibilità chiesta dall’Italia sia documentabile e
riconducibile al problema immigrazione o sia solo una furbata per
continuare ad accumulare debito pubblico e campicchiare sulle spalle
delle generazioni future.
Siamo diventati improvvisamente dei paladini del rigore? Chiaramente
no ed anzi si può discutere sull’assurdità di certi parametri. Ma le
mandrakate patriottiche per fottere i crucchi Renzi le racconti pure
agli amichetti di Whatsapp, i quali gli manderanno le faccine sorridenti
in segno di approvazione. I nodi, fuori da Whatsapp, invece vengono al
pettine e la storia del “governo - Luis Miguel”, quello
dell’entusiastica canzone “Noi, ragazzi di oggi”, non impressiona più.
Le maggiori spese si finanziano con la spending review, quella che Renzi
ha smesso di citare nei suoi logorroici monologhi e che farebbe bene ad
attuare se vuole meritarsi stima e credibilità. Altro che
mercanteggiare continuamente sconticini.
di Vito Massimano - 04 febbraio 2016
fonte: http://www.opinione.it
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