Renzi – oramai lo sanno anche i renziani – basa tutta la sua azione politica sul cosiddetto “effetto annunzio”. Una riunione del Consiglio dei Ministri, un bel Disegno di Legge (cioè una bozza, non una legge), una bella conferenza stampa (rigorosamente in maniche di camicia per far vedere che lui non tiene alle forme), e sùbito dopo una saccata di ospitate tv: prima c’è il Porta-a-Porta d’ordinanza, poi le “faccine” del Pomeriggio di Barbara D’Urso, Che-tempo-che-fa con Fazio e la Littizzetto, la Mezz’Ora dall’Annunziata, e altre minori; le uniche trasmissioni tralasciate – fino a questo momento – sono state il Grande Fratello e l’Isola dei Famosi.
È smargiassata, è presunzione, è voglia di comparire in tv, di pavoneggiarsi? Forse. Ma più probabilmente si tratta di una ben determinata strategia comunicativa, frutto di un preciso approccio scientifico. Ne trovo conferma in un pepato instant book appena uscito: “Il lato B di Matteo Renzi” di Enrica Perucchietti, per i tipi di Arianna Editrice. «Renzi – scrive la Perucchietti citando il blog di Giovanna Cosenza – non fa una sola promessa alla volta, ne fa due, tre, cinque, dieci, a raffica. In questo modo ottiene due effetti: da un lato conferma e rinforza l’immagine di velocità con cui è andato al governo; dall’altro è più facile che gli ascoltatori si confondano e dimentichino i dettagli di ciascuna promessa, inclusa la data di scadenza.»
A proposito di promesse a raffica. Ad un anno esatto dall’insediamento del governo Renzi, Beppe Grillo elenca sul suo blog le principali fra le tante promesse del Vispo Tereso. Il leader pentastellato ne enumera 14. Di queste, 13 risultano totalmente disattese, ed una soltanto (quella degli 80 euro) parzialmente mantenuta; parzialmente, perché la promessa di estendere il beneficio ai lavoratori autonomi, ai pensionati e agli “incapienti” è andata a farsi benedire. Si dirà che quella – sia pur rabberciata – degli 80 euro non è poca cosa. Concordo: è un capolavoro di prestidigitazione. Ti do 80 euro in busta paga, e contemporaneamente te li sfilo dalle tasche senza che tu te ne accorga. Dove sta il trucco? Nel fatto che non è il prestigiatore a levarti il denaro di tasca, ma un altro soggetto: le Regioni, o più spesso i Comuni, cui il giocoliere ha tolto anche gli ultimi spiccioli, costringendoli così al borseggio per poter sopravvivere. E non solo. Ma nello strangolare gli Enti Locali (e nello spingerli al taccheggio) il “mago” è stato talmente bravo da ottenere l’approvazione dei destinatari finali della magagna: i contribuenti, distratti da un altro trucchetto da baraccone, quello della lotta ai privilegi dei politici locali. Come se disporre dell’indispensabile per far funzionare un Comune fosse un “privilegio” da sottrarre ad una “casta”; una casta – quella di Sindaci ed amministratori locali – che viene ormai utilizzata come parafulmine, su cui far convergere la rabbia di una popolazione ridotta alla fame. Sia come sia, bisogna riconoscere che il trucchetto degli 80 euro ha funzionato: è servito a far prendere al PD il 40,8% dei voti alle europee.
Adesso è in atto un’altra spregiudicata operazione di manipolazione mediatica, quella del Job Act. Una porcheria che serve a facilitare i licenziamenti ingiustificati (ingiustificati, si badi bene) e che viene gabellata come una misura salutare per l’economia, una riforma (altra parola-truffa utilizzata per nascondere un cambiamento in peggio) del mercato del lavoro che produrrà nuova occupazione. E – a questo punto – giù una gara a chi spara i numeri più grossi. Ne sono protagonisti, oltre al Piccolo Imbonitore Fiorentino, anche il ministro dell’Economia, Padoan, e quello del Lavoro, Poletti, supportati anche dai compagnoni dell’OCSE, quelli che teorizzano tormenti da Santa Inquisizione col sorriso sulle labbra. 50.000, no 100.000, no 200.000 nuovi posti di lavoro nel 2015; qualcuno ha sparato addirittura 900.000.
Fesserie a parte, devo dire che anche questo trucchetto – come quello degli 80 euro – è stato studiato con grande maestrìa, e funzionerà, anche se soltanto nel breve periodo. Il perché ce lo spiega Stefano Fassina, il guru della sinistra PD: «Il previsto aumento dei contratti a tempo indeterminato ci sarà non grazie alla cancellazione dell'articolo 18, bensì per effetto del taglio dei contributi per tre anni per i neoassunti nel 2015. Una misura che costa tantissimo e che, date le condizioni della nostra finanza pubblica, non sarà ripetibile.» Nel 2015, quindi, l’occupazione aumenterà. Ma non certo perché il Job Act sarà riuscito ad “attrarre investimenti”; ma, molto più semplicemente, perché il temporaneo abbattimento dei contributi, spingerà le imprese ad assumere.
Non solo. Ma, se la congiuntura internazionale continuerà ad essere favorevole (per esempio, se il prezzo del petrolio continuerà a scendere per mettere in difficoltà Putin) ci potremmo addirittura trovare di fonte ad un aumento del PIL, che il Pifferaio dell’Arno potrà spacciare per un effetto delle sue miracolose “riforme”.
A proposito. Per comprendere esattamente quanto di negativo si nasconda dietro questa definizione, basti pensare che il braccio-di-ferro tra la Grecia e i suoi aguzzini che è in corso in questi giorni, verte proprio su questo argomento: la Banca Centrale Europea è disposta a dare altri quattro mesi di respiro all’economia ellenica soltanto a patto che Tsipras si impegni a fare “le riforme”, cioè a continuare a strangolare il suo popolo.
La differenza con la situazione italiana è evidente: noi abbiamo un Presidente del Consiglio che “le riforme” vuol farle da solo, senza nemmeno che i figli di troika ci ricattino. E noi abbiamo un popolo che crede ancora alle favole.
È smargiassata, è presunzione, è voglia di comparire in tv, di pavoneggiarsi? Forse. Ma più probabilmente si tratta di una ben determinata strategia comunicativa, frutto di un preciso approccio scientifico. Ne trovo conferma in un pepato instant book appena uscito: “Il lato B di Matteo Renzi” di Enrica Perucchietti, per i tipi di Arianna Editrice. «Renzi – scrive la Perucchietti citando il blog di Giovanna Cosenza – non fa una sola promessa alla volta, ne fa due, tre, cinque, dieci, a raffica. In questo modo ottiene due effetti: da un lato conferma e rinforza l’immagine di velocità con cui è andato al governo; dall’altro è più facile che gli ascoltatori si confondano e dimentichino i dettagli di ciascuna promessa, inclusa la data di scadenza.»
A proposito di promesse a raffica. Ad un anno esatto dall’insediamento del governo Renzi, Beppe Grillo elenca sul suo blog le principali fra le tante promesse del Vispo Tereso. Il leader pentastellato ne enumera 14. Di queste, 13 risultano totalmente disattese, ed una soltanto (quella degli 80 euro) parzialmente mantenuta; parzialmente, perché la promessa di estendere il beneficio ai lavoratori autonomi, ai pensionati e agli “incapienti” è andata a farsi benedire. Si dirà che quella – sia pur rabberciata – degli 80 euro non è poca cosa. Concordo: è un capolavoro di prestidigitazione. Ti do 80 euro in busta paga, e contemporaneamente te li sfilo dalle tasche senza che tu te ne accorga. Dove sta il trucco? Nel fatto che non è il prestigiatore a levarti il denaro di tasca, ma un altro soggetto: le Regioni, o più spesso i Comuni, cui il giocoliere ha tolto anche gli ultimi spiccioli, costringendoli così al borseggio per poter sopravvivere. E non solo. Ma nello strangolare gli Enti Locali (e nello spingerli al taccheggio) il “mago” è stato talmente bravo da ottenere l’approvazione dei destinatari finali della magagna: i contribuenti, distratti da un altro trucchetto da baraccone, quello della lotta ai privilegi dei politici locali. Come se disporre dell’indispensabile per far funzionare un Comune fosse un “privilegio” da sottrarre ad una “casta”; una casta – quella di Sindaci ed amministratori locali – che viene ormai utilizzata come parafulmine, su cui far convergere la rabbia di una popolazione ridotta alla fame. Sia come sia, bisogna riconoscere che il trucchetto degli 80 euro ha funzionato: è servito a far prendere al PD il 40,8% dei voti alle europee.
Adesso è in atto un’altra spregiudicata operazione di manipolazione mediatica, quella del Job Act. Una porcheria che serve a facilitare i licenziamenti ingiustificati (ingiustificati, si badi bene) e che viene gabellata come una misura salutare per l’economia, una riforma (altra parola-truffa utilizzata per nascondere un cambiamento in peggio) del mercato del lavoro che produrrà nuova occupazione. E – a questo punto – giù una gara a chi spara i numeri più grossi. Ne sono protagonisti, oltre al Piccolo Imbonitore Fiorentino, anche il ministro dell’Economia, Padoan, e quello del Lavoro, Poletti, supportati anche dai compagnoni dell’OCSE, quelli che teorizzano tormenti da Santa Inquisizione col sorriso sulle labbra. 50.000, no 100.000, no 200.000 nuovi posti di lavoro nel 2015; qualcuno ha sparato addirittura 900.000.
Fesserie a parte, devo dire che anche questo trucchetto – come quello degli 80 euro – è stato studiato con grande maestrìa, e funzionerà, anche se soltanto nel breve periodo. Il perché ce lo spiega Stefano Fassina, il guru della sinistra PD: «Il previsto aumento dei contratti a tempo indeterminato ci sarà non grazie alla cancellazione dell'articolo 18, bensì per effetto del taglio dei contributi per tre anni per i neoassunti nel 2015. Una misura che costa tantissimo e che, date le condizioni della nostra finanza pubblica, non sarà ripetibile.» Nel 2015, quindi, l’occupazione aumenterà. Ma non certo perché il Job Act sarà riuscito ad “attrarre investimenti”; ma, molto più semplicemente, perché il temporaneo abbattimento dei contributi, spingerà le imprese ad assumere.
Non solo. Ma, se la congiuntura internazionale continuerà ad essere favorevole (per esempio, se il prezzo del petrolio continuerà a scendere per mettere in difficoltà Putin) ci potremmo addirittura trovare di fonte ad un aumento del PIL, che il Pifferaio dell’Arno potrà spacciare per un effetto delle sue miracolose “riforme”.
A proposito. Per comprendere esattamente quanto di negativo si nasconda dietro questa definizione, basti pensare che il braccio-di-ferro tra la Grecia e i suoi aguzzini che è in corso in questi giorni, verte proprio su questo argomento: la Banca Centrale Europea è disposta a dare altri quattro mesi di respiro all’economia ellenica soltanto a patto che Tsipras si impegni a fare “le riforme”, cioè a continuare a strangolare il suo popolo.
La differenza con la situazione italiana è evidente: noi abbiamo un Presidente del Consiglio che “le riforme” vuol farle da solo, senza nemmeno che i figli di troika ci ricattino. E noi abbiamo un popolo che crede ancora alle favole.
di Michele Rallo - 1 marzo 2015
fonte: http://www.rinascita.eu
Michele Rallo
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