Mi
verrebbe da dire: visto? Gli italiani chiedono davvero una politica
diversa. Dieci giorni fa, prima del voto in Molise, osservavo in un post
che il vento nel Paese era cambiato, che gli elettori attribuivano
particolare importanza alla coerenza dei leader politici, soprattutto a
quelli della protesta contro l’establishment (M5Stelle, Lega, in primis)
e che non avrebbero accettato di essere traditi un’altra volta. Questa
era la ragione per cui la popolarità di Salvini continuava a salire e
quella di Di Maio a scendere. E mi chiedevo: il capo pentastellato saprà
ascoltare questo messaggio?
La risposta è arrivata chiara e forte alle elezioni di ieri nel
Friuli-Venezia-Giulia, che si sono tradotte per il Movimento 5 Stelle in
un vero e proprio tracollo. Aveva ottenuto il 24% alle politiche, ieri
il suo candidato Morgera si è fermato al 12% e come voto di lista ha
ottenuto appena il 7%.
Non poteva essere altrimenti per un partito che pur di governare si è
offerto al Pd, che fino a ieri indicava come il Male Assoluto, il
tumore da estirpare; che ha sbianchettato i programmi pur di compiacere
l’establishment, trasformandosi da forza contraria alle imposizioni
della Ue a garante degli interessi europei; che ha riammesso nei propri
ranghi quei candidati massoni e pregiudicati che alla vigilia del voto
aveva promesso di cacciare. Che, in una parola, ha rinnegato in poco più
di un mese la sua storia e i suoi valori per l’evidente, insaziabile
ambizione del suo giovane leader e per l’incapacità degli altri capi
storici di opporvisi.
Al contrario, Matteo Salvini è stato premiato perché è rimasto fedele
sia al patto elettorale di centrodestra, relativizzando gli scatti
umorali di Berlusconi, sia esigendo il rispetto dei punti fondamentali
del suo programma, anteponendoli alle lusinghe del potere. Il messaggio
che ha lanciato dopo il 4 maggio è credibile, forte e, soprattutto
coerente, quello di un leader di parola. Come desiderato dagli italiani.
Il voto in Friuli legittima la Lega quale capofila incontrastato della
coalizione e, in quanto tale, quale forza di riferimento a livello
nazionale.
Il nuovo corso di Salvini, capace in pochi mesi di proporsi come
leader solido ed equilibrato, apre prospettive politiche di lungo
periodo (su cui ritorneremo prossimamente) e complica il quadro a breve.
Alla fine il cerino è rimasto in mano a colui che pensava di dettare le
condizioni a tutti e che è riuscito persino a rivalutare Renzi, il
quale, ribadendo il no a un accordo contro natura con il Movimento 5
Stelle, si è riappropriato della scena in casa Pd. Resta un solo, sicuro
perdente: Di Maio, che non sarà premier, ha perso il Molise ed è stato
quasi azzerato in Friuli. Chi l’avrebbe detto, la sera del 4 marzo?
di Marcello Foa - 30 aprile 2018
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