Un amico mi ha posto la domanda: “Ma i Pm che indagano su Consip e Tiziano Renzi sono del Partito dei Magistrati?”.
La risposta è sicuramente sì. Ma in realtà c’è molto altro da
aggiungere, perché questo è un punto nodale della nostra realtà
politico-istituzionale. Né basta aggiungere: “Chi di toga ferisce (e
ingrassa), di toga perisce”.
Quello che sta venendo a galla in occasione di queste cosiddette
“Primarie” del Partito Democratico supera ogni previsione circa il ruolo
invasivo e l’arroganza del “Partito dei Magistrati”. Al contempo dà la
prova che questo partito, oramai consolidatosi come partito-istituzione
(in ciò precedendo d’assai i progetti di “Partito della Nazione” di
Matteo Renzi) subisce la sorte di un po’ tutti i partiti italiani
(quelli che c’erano e quello che è rimasto): incrinarsi e dividersi in
correnti e, magari, lanciare attorno schegge impazzite.
Io non so se dire quanti della maggioranza “corporativa” del Pdm
stiano alimentando la “campagna” Consip-Renzi e quanti, invece di una
scheggia impazzita, che, in effetti, pure vi ha messo la sua sigla, lo
stile e pure, a quello che sembra, una sorta di sua polizia “personale”.
Non so neppure se i media e i loro padroni puntino più sugli “effetti
speciali” delle imprese delle schegge impazzite o sulla solidità, durata
e “buon fine” del lavoro della maggioranza corporativa del Pdm. Certo è
che quello cui stiano assistendo è qualcosa di inimmaginabile in un
Paese civile e sedicente libero e democratico. È inutile ricordare che
il Pd è, nella sua attuale “unicità” sulla scena politica italiana, il
frutto di due diverse ma connesse e coerenti “campagne” giudiziarie
condotte dalla magistratura: “Mani pulite” e “l’anti-berlusconismo”. Chi
si illudeva che, disarcionato il Cavaliere, il Partito dei Magistrati
avrebbe fatto un passo indietro e si sarebbe messo da parte, ha preso un
granchio di quelli colossali.
Oggi nelle vicende burrascose e melmose del Pd c’è una vetrina, nella
quale fanno bella mostra il Partito dei Magistrati, i suoi uomini, le
sue fazioni, le sue mostruosità. Non pretendo qui di farne un quadro
completo che renderebbe chilometrico questo scritto.
Emanuele Macaluso, vecchio (più di me!) comunista cristallino,
garantista e diffidente verso la politica “processuale”, in una
intervista a “Il Messaggero” ha finito per prorompere: “E ci mancava pure Emiliano”.
Certo, la figura di questo strano personaggio è emblematica del ruolo
del Partito dei Magistrati e della dipendenza che il Pd ha finito per
acquisire verso di esso. Michele Emiliano, anzitutto, ha ingigantito
l’importanza dell’intervento diretto e personale dei magistrati in
politica, non solo attraverso l’eliminazione dei politici veri, ma con
l’occupazione di cariche istituzionali elettive, che fino a qualche
tempo fa sarebbe stato erroneo ritenere l’aspetto più rilevante della
politicizzazione della magistratura. Ma Emiliano rappresenta anche un
altro aspetto singolare, nuovo e poco meditato, di questo fenomeno
invasivo delle toghe: è la sedizione giudiziaria, ancora tenue, ma
significativa, che con lui si verifica. Emiliano sta violando le regole
della corporazione dei magistrati, che fanno divieto anche a quelli di
loro che si trovino “fuori ruolo” (così la Corte costituzionale) per
incarichi diversi, di appartenere formalmente a partiti politici.
Emiliano è fuori ruolo da tredici anni (prima come sindaco di Bari, poi
come presidente della Regione Puglia). È iscritto al Pd e, benché
sottoposto per questo a procedimenti disciplinari, se ne infischia; non
solo, ma del Pd vuole divenire segretario. In questi tredici anni ha
sicuramente ottenuto almeno uno “scatto” a categoria superiore (e,
quindi, a pensione superiore). Se è consentito ai magistrati (mettendosi
fuori ruolo) di candidarsi in liste di partito e di ricoprire cariche
elettive, non è loro permesso di iscriversi a partiti politici.
Emiliano, lo ripetiamo, se ne infischia.
Siamo, dunque, alla sedizione, che ricorda quella di generali e
ufficiali dell’Esercito che sostenevano il fascismo nascente e si
mettevano la camicia nera. Ma Emiliano ha pure l’arroganza di contestare
l’“incompatibilità” con la candidatura alla segreteria del partito al
povero Andrea Orlando, il quale dovrebbe esercitare l’azione
disciplinare proprio contro lo stesso Emiliano. Grida al conflitto di
interessi (che c’entra come i cavoli a merenda). Un modo come un altro
per minacciarlo: guai se l’azione disciplinare va avanti. Lui è un
magistrato e può fare quello che gli pare.
Poi, naturalmente, c’è Renzi, che al momento fa la parte passiva del
sistema politico-giudiziario-sputtanatorio. Sarà vero o no che già da
questa estate Massimo D’Alema aveva annunciato agli amici che tra
qualche mese Renzi sarebbe caduto “per via giudiziaria”. Se così fosse
sarebbe ancora più grave. Orlando, lo abbiamo visto, è accusato
nientemeno che di “conflitto d’interessi” dal “ribelle Emiliano”.
Intanto sul Pm anglo-napoletano Henry John Woodcock si è abbattuta la
storia della polizia “ambientalista” stranamente usata nell’indagine
“sul papà Tiziano” e per la solita fuga di notizie.
Insomma, il Pdm fa proprio bella mostra di sé nella vetrina di queste vicende. Sarebbe ora di smetterla di scherzarci sopra.
di Mauro Mellini - 09 marzo 2017
fonte: http://www.opinione.it
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