Ora Gualtieri dice che va tutto bene, ma la riforma del Meccanismo europeo di stabilità inciderà pesantemente sui nostri conti
Adesso Banca d’Italia e il vice direttore dell’Osservatorio sui conti
pubblici italiani dell’Università Cattolica fanno marcia indietro, e il
ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (Pd) dichiara che tutto va bene,
che la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) in dirittura
d’arrivo non modifica le condizioni per l’accesso al prestito da parte
dei paesi dell’eurozona e non obbliga chi ne fa richiesta alla
ristrutturazione del debito (traduzione: a non rimborsare in tutto o in
parte i titoli di Stato ai detentori piccoli e grandi per ridurre
l’indebitamento pubblico).
Settimana scorsa
Ma non era così settimana scorsa e quella precedente, quando prima
Giancarlo Galli (già deputato Pd e capo economista di Confindustria
prima di diventare vice direttore dell’Osservatorio sui conti) in
audizione presso le Commissioni riunite V e XIV della Camera dei
Deputati e poi il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco in
occasione di un seminario sull’unione monetaria lanciavano l’allarme sui
contenuti della riforma del Mes, il Fondo salva-stati creato dai paesi
dell’Eurozona nel 2011 per intervenire in casi di crisi finanziarie dei
paesi partecipanti.
Un colpo di pistola
Galli l’ha definita
«un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una
sorta di bail-in applicato a milioni di risparmiatori». L’economista ed
ex parlamentare aveva esordito nella sua audizione dichiarando «la
riforma del Mes contiene elementi di criticità per l’Italia abbastanza
forti». Aveva poi spiegato che è un’entità esterna al perimetro delle
istituzioni europee, creato con un trattato ad hoc, e che quindi non
risponde al Parlamento Europeo. Che la riforma sposterà l’asse del
potere economico nell’eurozona dalla Commissione Europea al Mes, che
diventerebbe il vero “Fondo Monetario Europeo”, a immagine del Fondo
Monetario Internazionale (Fmi).
La precondizione per chiedere aiuti
E che la criticità è la seguente:
«Nella riforma che viene proposta emerge in modo implicito ma abbastanza chiaro l’idea che un paese che chiede aiuto al Mes debba ristrutturare preventivamente il proprio debito pubblico nel caso in cui non sia ritenuto sostenibile dallo stesso Mes. La novità sta nell’idea che la ristrutturazione diventi una precondizione pressoché automatica per ottenere gli aiuti. Questa idea che si debba stabilire una regola che obblighi alla ristrutturazione un paese che chiede accesso ai fondi del Mes e abbia un debito giudicato insostenibile è stata espressa in modo molto esplicito e ripetutamente da esponenti come il governatore della Bundesbank Jens Weidmann. (…) Si danno gli aiuti, ma li si condizionano alla ristrutturazione del debito, il che dovrebbe evitare quel “rischio morale” che ha spinto alcuni paesi a non fare gli aggiustamenti necessari».
A chi dare gli aiuti
Galli ha citato la dichiarazione franco-tedesca di Mesenberg, che
afferma che gli aiuti del Mes vanno dati solo dopo un’analisi della
sostenibilità del debito del paese che ne fa richiesta, e ha espresso la
sua preoccupazione per la riaffermazione del concetto di “private
sector involvement” nelle azioni di aggiustamento, una perifrasi per
indicare che potranno non essere ripagati titoli di Stato detenuti dai
privati.
«Ho l’impressione che le clausole single limb (sistema per facilitare le ristrutturazioni di titoli – ndr) siano introdotte avendo in mente l’Italia e dando al mercato un segnale negativo sull’Italia».
Una calamità immensa
Nella situazione italiana, dove il 70 per cento del debito è detenuto da soggetti residenti in Italia,
«la ristrutturazione sarebbe una calamità immensa, con distruzione di risparmio, fallimento di banche, disoccupazione, impoverimento della popolazione. Una ristrutturazione sarebbe un colpo di pistola a sangue freddo alla tempia dei risparmiatori, una sorta di bail-in di massa applicato a milioni di risparmiatori innocenti».
«Azioni o parole che possano ingenerare nei mercati anche solo il timore di una ristrutturazione o di un default vanno considerati un pericolo per l’Italia e per gli italiani. Per questo motivo noi ci preoccupiamo delle proposte di revisione del trattato Mes».
Una spirale perversa
Parole simili a quelle che di lì a poco avrebbe pronunciato Ignazio Visco:
«I piccoli ed incerti benefici di una ristrutturazione del debito», avrebbe detto sabato 16 novembre, «devono essere bilanciati con il rischio enorme che il semplice annuncio di una sua ristrutturazione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default, le quali potrebbero rilevarsi autoavveranti».
Fondo ammazza stati
Insomma, gli interventi di autorevoli economisti venivano a
confermare quello che l’opposizione di centrodestra andava dicendo coi
toni esagitati del dibattito politico, definendo il Mes in
gestazione «Fondo ammazza stati» (Matteo Salvini), «nuova eurofollia»
(Giorgia Meloni), un evento così traumatico che richiederà «burro e
vaselina» (Claudio Borghi), un’iniziativa tedesca che causerebbe «gravi
danni al sistema bancario italiano» (Renato Brunetta). Nel suo blog Luciano Barra Caracciolo, sottosegretario agli Affari europei nel primo governo Conte, scrive:
«La riforma del Mes impone una scelta, obbligata e senza alternative, tra ristrutturazione del debito pubblico o definitiva ristrutturazione sociale italiana, cioè uno sconvolgimento ordinamentale e dunque costituzionale».
Si rimangiano tutto
Sono passati pochi giorni e sia Bankitalia che Galli si sono
rimangiati buona parte delle loro affermazioni. Visco non avrebbe «messo
in guardia» dalla riforma, ma solo «espresso cautela». Galli adesso
dice che le sue parole sono state strumentalizzate, e che nonostante i
problemi che la riforma presenta per l’Italia,
«i nostri negoziatori sono riusciti a espungere ciò che era nelle intenzioni chiaramente espresse da molti esponenti dell’establishment del Nord Europa e cioè la ristrutturazione automatica e preventiva del debito dei paesi che si rivolgessero al Mes per assistenza: la ristrutturazione non è automatica, perché dipende dall’esito dell’analisi di sostenibilità del debito».
La riforma in sintesi
La ristrutturazione non è automatica? Andiamo a vedere cosa prevede
in sintesi la riforma. Le condizioni per i prestiti, se la riforma
dovesse essere confermata nella forma attuale, sarebbero le seguenti: 1)
non essere in procedura d’infrazione; 2) vantare un deficit inferiore
al 3 per cento da almeno due anni; 3) avere un rapporto deficit/Pil
sotto il 60 per cento (o, almeno, aver sperimentato una riduzione di
quest’ultimo di almeno 1/20 negli ultimi due anni).
Default di Bot e Cct
Chiaramente l’Italia non rientra nel punto 3: il nostro rapporto
debito/Pil è del 134,8 per cento e non lo stiamo riducendo di 6,5 punti
percentuali ogni due anni. Dunque la realtà è questa: se l’Italia, che
ha versato al Mes 14,3 miliardi di euro che sono serviti per aiutare
Cipro, Grecia, Spagna e Irlanda, dovesse avere bisogno in un futuro
prossimo di un prestito del Mes, non potrebbe ottenerlo a meno che non
intervenga selvaggiamente per rendere sostenibile il proprio debito agli
occhi dei tecnici del Mes, cioè dichiarando un default su parte dei
Bot, Cct, ecc. Coi nostri soldi stiamo aiutando mezza Europa, ma non
potremo nemmeno averli indietro per aiutare noi stessi. Se prima non
decapitiamo i nostri risparmiatori.
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