Nessuno
sa ancora bene quanti siano i profughi della nave “Diciotti” che se ne
sono andati via da dal centro della Caritas di Rocca di Papa. C’è chi
parla di 40, chi di 50 e qualche altro dice che il numero è ancora più
alto visto che dei migranti inviati in Albania o nelle diocesi molti si
sono dileguati durante i viaggi di trasferimento. Il numero degli
scomparsi ha, però, un’importanza relativa. Rappresenta una goccia
destinata a raggiungere il fiume di oltre seicentomila profughi che dopo
essere arrivati nel nostro Paese hanno abbandonato i centri di
accoglienza entrando in una sorta di clandestinità non clandestina.
Come ha detto il direttore della Caritas, infatti, i dileguati di Rocca di Papa non erano detenuti e, non essendo accusati di alcun reato, erano liberi di muoversi a loro piacimento. Ma può chi non è recluso e non è gravato da accuse penali entrare in clandestinità? I seicentomila a spasso per l’Italia (sempre che il numero sia sempre lo stesso e non sia aumentato nel corso degli ultimi tempi) dimostrano che questa bizzarria esiste ed è assolutamente concreta. L’esercito dei dileguati c’è e si muove a proprio piacimento arroccandosi nelle grandi aree urbane, cercando di uscire dalle frontiere per raggiungere i Paesi dell’Europa del Nord o nascondendosi nelle pieghe più oscure e potenzialmente illegali della società.
I sostenitori dell’accoglienza umanitaria a ogni costo sostengono che rispetto a una popolazione di sessanta milioni di persone il numero dell’esercito dei clandestini costituisce una percentuale irrisoria. Ma ciò che percentualmente irrisorio è incredibilmente visibile. Aumenta a dismisura la percezione della dimensione del fenomeno nell’opinione pubblica. Costituisce un bacino incontrollato di ogni possibile forza di illegalità, dal moderno schiavismo del lavoro nero e senza regole e garanzie alle altre e molteplici forme di criminalità. E, soprattutto, inocula nel tessuto sociale del Paese il germe di un’intolleranza di stampo razzista che neppure le leggi razziali di fascistica memoria avevano provocato.
Far uscire dalla clandestinità i non clandestini diventa, allora, una grande priorità. Che non si affronta con la debole giustificazione della fuga da Rocca di Papa della Caritas, ma con misure non di repressione ma, almeno, di sicurezza.
Come ha detto il direttore della Caritas, infatti, i dileguati di Rocca di Papa non erano detenuti e, non essendo accusati di alcun reato, erano liberi di muoversi a loro piacimento. Ma può chi non è recluso e non è gravato da accuse penali entrare in clandestinità? I seicentomila a spasso per l’Italia (sempre che il numero sia sempre lo stesso e non sia aumentato nel corso degli ultimi tempi) dimostrano che questa bizzarria esiste ed è assolutamente concreta. L’esercito dei dileguati c’è e si muove a proprio piacimento arroccandosi nelle grandi aree urbane, cercando di uscire dalle frontiere per raggiungere i Paesi dell’Europa del Nord o nascondendosi nelle pieghe più oscure e potenzialmente illegali della società.
I sostenitori dell’accoglienza umanitaria a ogni costo sostengono che rispetto a una popolazione di sessanta milioni di persone il numero dell’esercito dei clandestini costituisce una percentuale irrisoria. Ma ciò che percentualmente irrisorio è incredibilmente visibile. Aumenta a dismisura la percezione della dimensione del fenomeno nell’opinione pubblica. Costituisce un bacino incontrollato di ogni possibile forza di illegalità, dal moderno schiavismo del lavoro nero e senza regole e garanzie alle altre e molteplici forme di criminalità. E, soprattutto, inocula nel tessuto sociale del Paese il germe di un’intolleranza di stampo razzista che neppure le leggi razziali di fascistica memoria avevano provocato.
Far uscire dalla clandestinità i non clandestini diventa, allora, una grande priorità. Che non si affronta con la debole giustificazione della fuga da Rocca di Papa della Caritas, ma con misure non di repressione ma, almeno, di sicurezza.
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