Roma, 28 mar – Sapevamo che al Tribunale Arbitrale dell’Aia
(che deve decidere la “giurisdizione” sul caso, processo in Italia o
India) l’India aveva depositato un documento, ancora una volta secretato
e che abbiamo inutilmente tentato di ottenere. Ora grazie a un articolo di Panorama
sappiamo almeno della sua natura: “Dall’ultima ordinanza, la numero 4
del 12 febbraio, firmata dal presidente, il giudice russo Vladimir
Golitsyn, si scopre che gli indiani hanno presentato ulteriori ’66
testimonianze e 133 documenti aggiuntivi’ per sostenere la richiesta di
processare i marò a Delhi”. Si tratta evidentemente non di un documento
relativo a questioni di “Diritto del Mare” quanto piuttosto (le 66
testimonianze) del voler ribadire la “colpevolezza” già
presentata in un documento di agosto 2015 al Tribunale di Amburgo sul
diritto del Mare. Come si ricorderà questo documento di Amburgo borioso e
insultante (in questa vicenda l’Italia cerca compassione) aveva in
allegato i documenti giudiziari indiani (autopsie, perizia balistica
etc).
Il sottoscritto li ha chiesti e ottenuti da Amburgo, e proprio da questi è emersa l’innocenza dei due accusati,
cosa nota alle autorità indiane fin dal giorno stesso dei fatti, e a
quelle italiane da pochi giorni dopo. E questi documenti erano rimasti
secretati dalle autorità indiane per quasi quattro anni, negati anche
alla Magistratura italiana che ne aveva fatto formale richiesta. Forte
di questa “apertura della cassaforte” il sottoscritto è potuto andare ad
aprile 2016 alla Commissione Petizioni della U.E. a Bruxelles a
illustrare le evidenze di innocenza e il comportamento falso e
pregiudiziale delle autorità del Kerala contro i due accusati, e questa
presentazione aveva causato una reazione della stessa Commissione nei confronti dell’India in rappresentanza di 450 milioni di Europei.
Fatta la reazione (due lettere) dopo 8 giorni anche Salvatore Girone era in volo verso l’Italia. Ora ci risiamo con le accuse montate ad arte per millantare una falsa “colpevolezza”
al Tribunale Arbitrale dell’Aia ed ottenere così l’assegnazione della
giurisdizione e celebrare in India un processo già scritto. Poiché non è
neanche dato sapere se e con quali argomenti gli avvocati di parte
italiana hanno reagito all’ennesimo tentativo indiano di avere assegnato
il processo e di scrivere a priori la sentenza, non mi resta che
chiedere di essere audito dal Tribunale dell’Aia, per dimostrare che
l’India “non può” celebrare il processo contro i due militari italiani,
avendo tenuto fin dall’inizio un atteggiamento falso e pregiudizievole
di colpevolezza, con una condanna già scritta che prevede anche la pena
di morte in base alla legge Sua Act indiana. Quindi mi attivo da subito
per essere a L’Aia il prima possibile al fine di essere ascoltato dai
Giudici internazionali.
E chiedo alle persone, gruppi e associazioni italiane che hanno sostenuto le “ragioni dell’innocenza” di attivarsi per evitare che questo nuovo atto di prepotenza indiana produca i suoi effetti.
Per ora non abbiamo neanche un governo, e non sappiamo come e se il
nuovo ministro degli Esteri vorrà intervenire sulla vicenda (la Bonino
aveva già dichiarato che la soluzione del caso passava per un processo
“Fast & Fair” in India). Per cui tocca nuovamente a noi cittadini.
Luigi Di Stefano
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