Dopo
che nelle scorse settimane il Governo aveva dato fiato alle trombe per
rincitrullire gli italiani sulla crescita, sulla ripresa, sui successi
economici e quanto altro, puntuale è arrivato lo stop della realtà. A
conti fatti, Paolo Gentiloni e, soprattutto, Pier Carlo Padoan, hanno
capito che troppo si stava esagerando e che tutta questa ricchezza
strombazzata non c’era. Ecco perché il ministro dell’Economia ha
annunciato che le risorse sono molto poche, che il sentiero della
ripresa è stretto e che la crescita del Prodotto interno lordo non basta
per una manovra luccicante. Eppure, televisione, grandi testate, mezzi
d’informazione e istituti statistici, nel corso dell’estate appena
terminata hanno bombardato la gente con dati sfavillanti sull’economia.
Dal Pil all’occupazione, dall’export ai consumi, dalla produzione
agli investimenti, per settimane hanno raccontato la storia di un Paese
lanciato verso la conquista del mondo. Si è diffusa la certezza di una
crescita forte e strutturale, la raccolta di frutti abbondanti per
merito delle scelte di Governo e l’uscita dal tunnel della crisi.
Insomma, fino a qualche giorno fa sembrava che fossimo a bordo di un
razzo spaziale pronto a condurci nell’orbita del benessere. A questo
punto, la domanda è d’obbligo: come mai Padoan parla di pochissime
risorse, sentiero stretto e di manovra finanziaria complicata? Come mai
ad ogni richiesta per gli interventi che sarebbero necessari, il Governo
risponde che non ci sono soldi? E come mai gira voce che nella manovra
si farà di tutto per raschiare il fondo del barile e raccattare, in ogni
modo, un po’ di quattrini dalle tasche degli italiani? Bene, la
risposta è ovvia e gli italiani, che la sanno lunga sui metodi
elettorali per tentare di illudere, la conoscono e bene: “Purtroppo non
siamo lanciati verso alcun successo”.
Non solo. Tutti gli sperperi di questi anni fatti a debito per via
della flessibilità che la Ue ci ha concesso, stanno arrivando al
pettine. Tanto è vero che il debito continua a salire vertiginosamente,
il tappo della disoccupazione resta e le tasse persecutorie anche.
Insomma, cinque anni di governo cattocomunista, tre premier e tre
maggioranze di centrosinistra accroccate ad hoc ed elette da nessuno,
non hanno risolto nulla. La crescita non solo è inferiore al necessario e
a quella dei partner europei, ma è in larga parte congiunturale e i
nodi veri dunque arrivano al pettine. Per farla breve, le notizie
sparate in prima pagina e in prima serata sulle televisioni, sui
successi e le vittorie di Renzi e Gentiloni, non ci sono e nessuno se ne
è accorto.
Restiamo nel mezzo del guado, nessuna zavorra è stata eliminata, le
inefficienze di Stato restano intatte e le tasse di sicuro opprimeranno
ancora. La prossima, in buona sostanza, sarà una manovra di
galleggiamento, una foglia di fico preelettorale, un trompe-l’oeil per
non allarmare in vista del voto degli italiani. La realtà è che l’Italia
non funziona, il sistema Paese è malato, lo Stato costa troppo e non si
riesce più a mantenerlo. Ecco perché si preoccupano i tanti organismi
pubblici che invitano a una stretta fiscale e a ulteriori torchiature,
hanno paura che, prima o poi, non ce ne sia più per mantenerli al caldo
delle loro posizioni.
Hanno paura di perdere gli assurdi privilegi di cui godono, gli
stipendi da nababbo, le pensioni d’oro, l’accredito mensile in cambio di
poco o niente. Serve smantellare un apparato pubblico infernale,
enorme, goffo e costosissimo, serve togliere ogni privilegio, serve
sconfiggere le rendite di posizione delle lobby e degli apparati. Solo
così se ne potrà uscire, solo così ci toglieremo pesi e zavorre, solo
così la crescita potrà essere strutturale. La decisione spetterà agli
italiani che, tra qualche mese, dovranno scegliere e votare.
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