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Non smettete mai di protestare; non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste la verità assoluta. Non smettete di pensare. Siate voci fuori dal coro. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai.

(Bertrand Russell)

25/03/14

Re Giorgio ignora il voto di protesta E blinda l’Europa della Merkel e dei poteri forti





Ammettiamolo, c’eravamo distratti. Presi com’eravamo a seguire le dinamiche della Germania e le acrobazie della Merkel, impressionata o meno da Matteo Renzi, in pochi avevano tenuto d’occhio quel che stava avvenendo in Francia, convinti che si trattasse di un fuoco di paglia. Invece la questione posta dal post voto transalpino non è solo seria, anche se non grave, ma merita la massima attenzione. Perché se in un Paese civile e coerente con se stesso com’è la Francia – che lo è ancora – un bel pezzo di elettorato sceglie di dire no all’eterodossia europeista, ritenendo l’euro un nodo irrisolto e non un dogma, significa che il vento che spira sul vecchio continente ha cambiato direzione. Ma non da ieri, ovvero dal risultato elettorale che mette alle corde il presidente francese Hollande e pone di fronte alle proprie responsabilità i socialisti d’oltralpe, bensì da molto prima. Soltanto chi non aveva fiutato l’aria, alzando il dito come fanno i marinai, oggi grida al pericolo, come se la svolta a destra della Francia fosse una sorta d’inversione a U della storia. In realtà le cose non stanno affatto così, dato che i segnali erano già presenti – e chiari da tempo.
Segnali d’allarme
Indicatori come il voto in Veneto, la ripresa del M5S, le reiterate accuse di populismo mosse del Pd alla Lega e ai grillini, confondendo il dito con la luna, per finire con la posizione anti euro dei partiti di destra come Fratelli d’Italia, sono stati volutamente snobbati, sottovalutati e tenuti sotto traccia da chi oggi grida al “lupo al lupo”. E stupisce, quindi, la presa di posizione del capo dello Stato rispetto a questo scenario, dato che il suo stupore fa coppia con l’arrocco del premier. Insomma, entrambi sospettavano, ma nessuno dei due ci credeva davvero. Ad urne chiuse, e con i commentatori scatenati nello spaccare in due il capello del risultato che ha premiato il fronte Nazionale di Marin Le Pen, vien da pensare “benvenuti al mondo”. A dare il là al coro delle “preoccupazioni” per il risultato francese è stato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante la commemorazione della strage delle Fosse Ardeatine. L’inquilino del Quirinale si è premurato di ribadire “l’importanza dell’unità europea”, rimarcando che i partiti anti-euro e contrari alle politiche di austerity dell’Ue “ne approfittano per farsi sentire”. A cominciare dalla Lega che, per bocca del segretario Salvini, critica le parole del presidente. Per finire con il M5s i cui padri fondatori, Grillo e Casaleggio, pur chiarendo che non intendono allearsi con Marine Le Pen alle prossime europee, non nascondono un certo compiacimento di fronte all’affermazione Oltralpe di una forza antieuropeista. “Bisogna sempre saper ricordare che la pace non è un regalo o addirittura un dato scontato e per quel che riguarda il nostro e gli altri paesi europei è una conquista dovuta a quella unità europea, a quel progetto europeo che oggi da varie parti si cerca di screditare”, ha detto il Capo dello Stato, a margine della celebrazione per i 70 anni dell’eccidio delle Fosse Ardeatine a Roma. Dobbiamo ricordare quello che abbiamo vissuto in Italia ed in Europa”, ha aggiunto Napolitano, “e che non si può giocare con queste posizioni che tendono a screditare il nostro patrimonio di lotta per la libertà”.


Vince l’antipolitica
E chiaro che a far fibrillare in questo modo il Quirinale non è solo i risultato francese che sembra premiare l’ondata anti-euro e populista contro i vincoli stringenti e l’austerità della Ue, ma anche i giochi di palazzo connessi alla scelta del nuovo capo dello Stato, dato per scontato che Napolitano intenda completare il settennato. Non a caso il premier suona la stessa musica del presidente della Repubblica, al punto da sembrarne un clone. “L’Europa deve prendere atto di un diffuso senso di contestazione e di antipolitica”, dice Renzi dall’Aja, e quindi “mettere al centro la crescita e la lotta alla disoccupazione”. “Il voto in Francia”, il presidente del Consiglio, “è molto, molto, molto significativo. E’ un voto amministrativo, ma ha in sé chiaramente un significato di protesta. Anche in Italia accade così, forse a livello locale con minore intensità. Io non credo che dopo il voto in Francia si debba chiedere all’Europa di riflettere su se stessa, l’avevamo già chiesto prima e continuiamo a dirlo”. Dato il quadro europeo, che salda Quirinale e Palazzo Chigi, Renzi non può mettere le mani avanti: “Le elezioni europee non sono un referendum su di me. E nemmeno sul governo”. Si fa presto a dire che quello francese è solo un voto di protesta. Andate a spiegarlo agli imprenditori del nord che di mancate riforme si può morire.

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