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Paul
Roesch, nonostante il nome, è un cittadino italiano. E’ sindaco della
città di Merano, appartiene al movimento dei Verdi– Die Gruene – (il
bilinguismo…), è il primo ad avere battuto, dopo settant’anni, la SVP,
il partito di raccolta etnica della popolazione di lingua tedesca che
governava la città dal dopoguerra, insieme con i democristiani locali.
Recentemente, ha avuto il suo quarto d’ora di notorietà nazionale
facendosi fotografare mentre lustrava le scarpe ad un “migrante”
dell’Africa equatoriale. Fu davvero profetico Andy Warhol, l’icona della
pop art, quando affermò che ognuno, nel mondo moderno, avrebbe
avuto quindici minuti di celebrità: in fondo, i quarti d’ora sono
novantasei al giorno.
Un italiano vero, a prova di Toto Cutugno, il sudtirolese sinistrorso
e germanofono, subito sommerso dalle critiche dei suoi concittadini, la
cui principale colpa è di averlo eletto. Nel 1985, i popolari
scrittori torinesi Fruttero e Lucentini raccolsero in un libro tredici
anni di interventi sul quotidiano La Stampa, con il titolo La prevalenza
del cretino. Italianissimi anche loro, gli autori della Donna della
domenica coglievano nel segno. Noi tuttavia crediamo nella prevalenza,
dalle Alpi al Mediterraneo, di un’altra figura assai diffusa, il
lustrascarpe, appunto. Sarà per la forma stessa della nostra terra, lo
Stivale, ma il lustrascarpe è una costante della storia patria. Il buon
Paul Roesch non è che l’ultima incarnazione della categoria.
Il grande scrittore Jack London, quello che teorizzò il “fardello
dell’uomo bianco” civilizzatore benché colonialista, fu lustrascarpe in
gioventù, e, giusto per rimanere in ambito letterario, Sam Weller,
arguto protagonista del Circolo Pickwick, venne assunto come maggiordomo
da Mister Pickwick dopo una lunga carriera di lustrascarpe. Fino
all’inizio degli anni 80, all’esterno della stazione di Porta Nuova a
Torino un piccolo gruppo di anziani dall’aspetto di valligiani con una
divisa nera dai risvolti rossi svolgeva coscienziosamente il medesimo
servizio, assai apprezzato dai danarosi subalpini.
Nessun pregiudizio contro chi si guadagna onestamente il pane
lucidando le calzature altrui, meglio ancora se sono stivali, dalla
superficie più estesa. Il fatto è che troppo spesso l’Italia è stata ed è
il paese ed il paradiso degli sciuscià. Certo, non del piccolo
sfortunato Pasquale Maggi nel film di Vittorio De Sica, manifesto del
neo realismo e premio Oscar nel 1946. Tuttavia, fa male sapere che il
termine sciuscià è l’italianizzazione artigianale di “shoe shine”,
lustrascarpe appunto, nella lingua dei liberatori. Che gradirono molto
l’ampia disponibilità degli italianuzzi alla pulizia degli scarponi ed
anche a troppo altro, come rivelò Curzio Malaparte nella “Pelle”. Il
fatto è che l’atto di lustrare le scarpe è un simbolo disgustoso di
servilismo nonché di riconoscimento di inferiorità.
Per questo il gesto del sindaco altoatesino è così triste ed insieme
carico di significati. Nello specifico, tra i quarantamila e più suoi
amministrati, Herr Roesch avrebbe potuto compiere lo stesso gesto, unito
all’aiuto concreto, verso un meranese povero, magari malato o disabile.
No, le scarpe appartenevano ad uno dei tantissimi pasciuti giovani
uomini neri muniti di telefonino e cuffie che ciondolano per le nostre
città, e che non possiamo neppure chiamare clandestini, giacché sono
stati condotti nel territorio italiano dalle navi militari che
incrociano il Mediterraneo a supporto di scafisti, allertati dalle
ricche ONG che possiedono navi da alto mare. Abbiamo capito, borgomastro
Roesch, ma avevamo tutto chiaro già quando il vescovo di Roma Bergoglio
lavò i piedi in San Pietro a vari migranti, tutti rigorosamente non
cristiani. La cerimonia ricorda il giovedì santo, e la lavanda dei piedi
di Gesù ai suoi discepoli, non a passanti qualunque, in quello che era
il gesto doveroso dello schiavo nei confronti del padrone rientrato a
casa da campi e strade fangose.
Sì, anche papa Francesco si comporta come un lustrascarpe del potere
dominante, amato com’è dal mondo ateo, laico ed anticristiano, convinto
che Dio non è cattolico, e che nessuno può giudicare, come cantava
Caterina Caselli mezzo secolo or sono. A lui non è toccato il rifiuto
vergognoso dell’Università romana, chiamata La Sapienza, che impedì a
Benedetto XVI di parlare nella sede della cultura. L’argentino è stato
ricevuto con tutti gli onori riservati a uno di casa, ed ha ricambiato
con un discorso in cui mai ha pronunciato la parola Dio o nominato Gesù.
Questo è il problema dei lustrascarpe: sono ampiamente muniti di
spazzole e lucido di vari colori e tipi, a seconda delle calzature da
trattare, ma non possono sgarrare. Guai a loro, è in agguato un
concorrente, magari inviato attraverso l’apposita applicazione, la
magica app della multinazionale di turno, come Uber che strozza i tassisti.
In
Italia non è sfuggito nessuno alla sindrome del lustrascarpe: negli
anni Venti del Novecento, gli squadristi prendevano di mira Nicolino
Bombacci, che finì poi per morire ucciso nel 1945 da fedelissimo del
Duce, cantando “Della barba di Bombacci ne faremo spazzolini, per pulire
gli stivali di Benito Mussolini”. Chissà che tra loro non ci fosse
qualcuno di quelli che, nella disfatta, parteciparono alla macelleria
messicana di Piazzale Loreto (parola di Ferruccio Parri). Sì, perché i
lustrascarpe più accorti non hanno un unico cliente, e cambiano sovente
bandiera.
A Milano, per esempio, la giunta comunale di sinistra ha lustrato le
scarpe alla multinazionale Usa Strarbucks, unica partecipante al bando
per la risistemazione di Piazza del Duomo. Come elefanti in
cristalleria, gli statunitensi hanno piantumato attorno al gioiello
gotico e sotto la Madonnina una sorta di bosco di palme africane.
Ignoranza, arroganza padronale amerikana, o onesto anticipo di un futuro
ormai prossimo? Ricordiamo tutti le immagini dei mussulmani chini a
pregare nella piazza e sul sagrato del Duomo.
Alberto Arbasino, brillante scrittore, uomo di mondo ed acuto
osservatore del costume nazionale riconobbe la prevalenza del
lustrascarpe nella casta intellettuale con una battuta fulminante. La
giovane promessa diventa “venerato maestro”, ma, all’occorrenza, e per
opera delle stesse persone, “solito stronzo”. Il nostro carattere
nazionale, inutile nasconderlo, è quello di un popolo di camerieri
desiderosi di indossare la livrea del padrone di turno, stendere tappeti
rossi sul suo cammino e rendere lucidi come specchi stivali e
mocassini. Convinto di essere furbissimo, il genoma nazionale italiano è
tendenzialmente infedele, e, mentre lustra con indubbia maestria le
scarpe dei potenti, si applica a trarre beneficio dall’ostentata fedeltà
e, con la mano libera, già traffica con gli avversari del padrone in
carica, come la maschera di Arlecchino.
Alcuni dei più scalmanati sostenitori di Silvio Berlusconi si sono
distinti in questa dubbia arte: pensiamo a Sandro Bondi e ai tanti che
sbavavano attorno al Cavaliere, lesti a sferrargli il calcio dell’asino
quando il vento ha cambiato direzione. Nessun grande uomo è davvero
tale, peraltro, per il suo cameriere, che ne conosce fatti e misfatti.
Come i topi fuggono dalla nave prima del naufragio, i lustrascarpe
migliori sono valenti meteorologi, fiutano il vento con istinto sicuro e
posizionano l’attrezzatura accanto ai piedi giusti con un attimo di
anticipo.
Quando il PCI, a metà degli anni 70 vinse le elezioni amministrative e
sembrava travolgere ogni ostacolo, restò famosa la foto di una
manifestazione moltitudinaria in cui accanto ad Enrico Berlinguer c’era
il noto musicista Severino Gazzelloni che suonava il flauto. Il
pifferaio di Hamelin de noantri suonava Bandiera Rossa a fianco del severo leader
sardo. In quegli anni, iniziava una brillante carriera di lustrascarpe
un giovane attore magro e travolgente, Roberto Benigni. Un suo film
giovanile si intitolò Berlinguer ti voglio bene, i suoi baci e abbracci
sguaiati avvolsero più volte l’uomo di Botteghe Oscure, personaggio
tutt’altro che espansivo, e, dopo un’onorata e ben retribuita carriera,
Benigni, forse per solidarietà toscana, è finito a lustrare, al recente
referendum, le scarpe fashion di Matteo Renzi. Il finale del
suo film più premiato, La vita è bella, resta il capolavoro di piaggeria
dell’omino di Castiglion Fiorentino. Il campo di concentramento di
Auschwitz viene liberato dall’esercito americano, mentre tutti sanno che
il 27 gennaio 1945 furono i sovietici ad entrare nel lager. I
produttori del film però, non erano russi, qualcuno israelita, ed
apprezzarono il falso storico mascherato da licenza poetica.
Una
specialità nazionale è quella del lustrascarpe per servizi di lunga
durata, una specie di Duracell della spazzola e del lucido, e si basa
sulla inversione sfacciata dei fatti ripetuta sino alla creazione di
false verità indiscutibili. Nel 1981, Carlo Azeglio Ciampi, governatore
della Banca d’Italia, e Beniamino Andreatta, ministro del Tesoro, con
una semplice lettera di quest’ultimo, dettero il via alla stagione del
debito pubblico e della prevalenza della finanza, attraverso
l’autorizzazione data alla banca centrale – all’epoca pubblica- a non
acquistare obbligatoriamente le quote invendute di emissioni di buoni e
certificati del Tesoro. Un atto storico devastante che ha lasciato lo
Stato inerme davanti al mercato finanziario, lo possiamo definire un
crimine contro il popolo italiano, seguito, dieci anni dopo, dalla
distruzione delle riserve di Bankitalia per “difendere” la lira dalle
speculazioni di Soros e soci. Risultato, lira comunque svalutata, una
devastante manovra economica lacrime e sangue (governo Amato), via
libera alle privatizzazioni low cost a favore di ben
individuati centri di potere internazionale. Esito per Ciampi, la
presidenza del Consiglio prima, addirittura la carica di Capo dello
Stato poi. Resta un padre della Patria, i lustrascarpe hanno lavorato
benissimo ed il banchiere livornese rimane un Venerato Maestro.
Più recente, ma non meno interessante, l’operazione di lucidatura
delle morbide calzature in pelle umana di Mario Monti, adatte alle
moquette ed agli eleganti marmi delle stanze dei consigli
d’amministrazione di entità finanziarie. Ha salvato l’Italia, dissero
per un paio d’anni lustrascarpe di lungo corso, sussiegosi come certi
maggiordomi inglesi, ma non certo intelligenti e simpatici come il
Jeeves di P.G. Wodehouse. Da che cosa e da chi Monti salvò l’amata
Patria non è dato saperlo, specie se ci guardiamo intorno uscendo di
casa. Di certo, ricordiamo l’orchestra per soli violini che magnificava
il suo non eccelso curriculum, la sua capacità di risolvere
problemi economici e finanziari, sino all’entusiasmo per il cagnolino
con cui si presentò una volta in televisione.
Matteo Renzi, che ad occhio e croce ama essere circondato di laudatores,
ha goduto per circa tre anni dei servigi di un battaglione di
lustrascarpe. Forse ha persino dovuto comprare calzature all’ingrosso,
magari dal suo amico Della Valle, patron di Tod’s, per consentire a
tutti di cimentarsi in esercizi acrobatici di piaggeria. Qualche giorno
prima del 4 dicembre, fatidico giorno del referendum costituzionale,
abbiamo tuttavia assistito al rapido ritiro di spazzole, lustro e
sgabelli dai piedi renziani, giacché la batosta appariva sempre più
probabile.
Alessandro Manzoni scrisse il suo 5 maggio in morte di Napoleone,
“vergin di servo encomio e di codardo oltraggio “. Un pessimo esempio di
italiano controcorrente, meglio il francese Pierre Corneille e le
dediche delle sue tragedie al Re Sole, che sanno di zerbino sull’uscio
di casa. Ma era Luigi XIV, quello che disse Lo Stato sono io! ed era
Pierre Corneille, un genio della letteratura, cui si può ben perdonare
qualcosa, nel quadro della Francia del XVII secolo, con buona pace di
Simone Weil che non gli perdonò la sua attitudine servile.
Ci sono, ovviamente, anche lustrascarpe di modesti orizzonti. Nella
terra di Liguria cara a chi scrive il quotidiano locale è sdraiato da
decenni davanti alla sinistra, anche la più estrema, e sbava come un
buon cane fedele ogni giorno dell’anno. In queste settimane, sono di
turno le scarpe dei vecchi esponenti politici di sinistra, protagonisti
di lirici pezzulli in cui si invoca l’unità del grande e glorioso
Partito (quello democratico, è chiaro). Di un esponente locale viene
descritto il merito principale: è iscritto dal 1954! Poiché il PD di
anni ne ha circa dieci, ecco un vero antemarcia, un vecchio scarpone da
lustrare con cura affinché brilli il colore di sempre, il rosso antico
del PCI stalinista. Il vescovo di Chiavari, città clericale come poche,
monsignor Tanasini, un mite prelato silenzioso, ha gridato al suo gregge
recalcitrante che chi non accoglie i migranti non è cristiano. Che cosa
scatena il timore del pensionamento anticipato, si è munito lui pure
del banchetto da lustrascarpe del politicamente corretto e chissà che il
denaro del business dell’accoglienza non faccia tappa anche nel Tigullio borghese e benestante.
I poveri sciuscià, a Napoli e altrove, chiedevano solo ai loro
facoltosi clienti qualche soldino per tirare avanti, sfruttando il bieco
orgoglio altrui di veder chini davanti a sé dei poveracci, ma nella
Palermo del 2017 la Confartigianato sta mettendo in piedi una
cooperativa di lustrascarpe da posizionare nei luoghi strategici della
città. Si sono presentati 75 aspiranti, non pochi sono laureati,
guadagneranno, si spera, almeno mille euro al mese, per ora stanno
studiando. Eh sì, perché la formazione è importante anche per loro, e,
temiamo, i piedi presso cui piegheranno la schiena saranno quelli di
mafiosi, evasori fiscali mai raggiunti da Riscossione Sicilia, l’allegra
Equitalia della Trinacria, privilegiati della ricca casta dei
dipendenti e consulenti regionali.
Poco è cambiato dal 1882, quando il pittore naturalista francese
Jules Bastien Lepage dipingeva il London Lustrascarpe, un bambino dallo
sguardo triste con la livrea rossa appoggiato ad un lampione in attesa
dei clienti. Riavvolgendo il nastro, cambiano solo i proprietari dei
piedi. Forse Paul Roesch, l’italianissimo sindaco meranese di lingua
tedesca si è solo portato avanti. Le scarpe dei finti rifugiati
destinati a sostituire noi ed i nostri pochi figli sono ancora sporche e
dozzinali. Domani saranno quelle dei nuovi padroni, e non pochi di loro
lo hanno capito, con l’atteggiamento che ostentano nelle nostre città,
sicuri della copertura politica mediatica ed ecclesiastica.
Sbrighiamoci anche noi. Basta uno sgabello, una borsa con spazzole,
scopette e lucidi multicolori. Sicuramente il kit completo si troverà online. Consultiamo Amazon o Ebay, paghiamo con Paypal, ma non lasciamo cadere l’antica tradizione italica del lustrascarpe.
di Roberto Pecchioli - 22 febbraio 2017
fonte: www.riscossacristiana.it
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