Nella lunga vicenda dei due marò, siamo tornati alla casella di
partenza, al febbraio 2012: tutto è nelle mani della benevolenza
dell'India politica e giudiziaria. Si può sperare che questa volta vada
meglio: il governo indiano in carica, guidato da Narendra Modi, è più
disposto di quello di allora a trovare una soluzione condivisa.
Il dato di fatto, però, è che a dare le carte continua a essere solo
Delhi: la strategia per strapparle l'iniziativa, o almeno per
condividerla, era stata impostata da Emma Bonino quando era ministro
degli Esteri del governo Letta ed era stata portata avanti da Federica
Mogherini, prima di trasferirsi a Bruxelles, e dal ministro della Difesa
Roberta Pinotti.
Fino a poco più di tre mesi fa: poi, la questione è stata presa in
mano dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, la strategia è stata
abbandonata e tutto è stato riportato su un piano esclusivamente
politico tra i governi dei due Paesi; un rapporto nel quale l'India è in
posizione di forza e detta modi e tempi. Con risultati pessimi per
Salvatore Girone, per Massimiliano Latorre e per la reputazione
internazionale dell'Italia, come si è visto nei giorni scorsi. Ora si
può fare il punto su ciò che sta avvenendo in questi giorni.
Anche perché la vicenda ha assunto una valenza sempre più rilevante
nella politica italiana dopo che Matteo Renzi ha criticato gli "inutili
show" di alcuni "ministri dei governi precedenti", riferendosi all'ex
titolare degli Esteri Giulio Terzi e forse a Emma Bonino; e ha detto che
il governo di Delhi "nelle ultime ore ha aperto un canale di confronto
diretto", con ciò di fatto smentendo i suoi ministri Pinotti e Paolo
Gentiloni (Esteri) che avevano mostrato forte irritazione con l'India.
Fin dall'estate, sul tavolo delle autorità indiane c'è una proposta di
Roma per arrivare a una soluzione condivisa.
Al tempo, aveva una sua logica e rispondeva a una strategia:
ingaggiare in un confronto politico il nuovo governo di Delhi e in
parallelo preparare il ricorso all'arbitrato internazionale. Due
iniziative che si rafforzavano a vicenda: l'arbitrato avrebbe fatto
pressione sull'India affinché accettasse un compromesso e la proposta di
accordo bilaterale sarebbe stata, se respinta, un'argomentazione in più
per ricorrere all'arbitrato.
Questa costruzione è stata inspiegabilmente abbandonata. La decisione
di azzerarla è avvenuta in contemporanea alla scelta di Renzi di
prendere direttamente in carico la questione. Il che ha significato
mettere ai margini i ministeri degli Esteri e della Difesa, fino ad
allora alla guida del caso, e puntare tutto sulla ricerca di un rapporto
diretto con Modi, in particolare con Ajit Doval, consigliere per la
Sicurezza nazionale, una delle super spie più famose d'Asia.
E ha comportato il congelamento del team giuridico di avvocati
internazionali, guidato dall'inglese Sir Daniel Bethlehem, che nei mesi
precedenti aveva preparato la soluzione italiana per arrivare a un
compromesso con l'India o all'arbitrato internazionale unilaterale. A
quel punto, la gestione del caso si è trasformata nell'esclusiva ricerca
di una disponibilità della parte indiana a risolverlo. Il 16 dicembre
scorso, è arrivato il risultato della svolta impressa da Renzi. Gli
avvocati dell'Italia hanno presentato due mozioni alla Corte Suprema di
Delhi con le quali chiedevano un prolungamento della licenza di Latorre e
un permesso natalizio di tre mesi per Girone. Evidentemente
incoraggiati dai colloqui con Doval.
In realtà, l'avvocato dello Stato indiano si opponeva alle mozioni. E
il presidente della Corte Suprema si mostrava irritatissimo dalla mossa
italiana, letta come il tentativo di parte politica di imporre una
soluzione violando l'autonomia della Corte: consigliava agli avvocati
italiani di non presentare nemmeno le mozioni; consiglio umiliante ma
perentorio. Tradotto: il governo Modi - come ha poi ribadito
pubblicamente - vorrebbe "una soluzione diplomatica condivisa" con Roma
ma deve rispettare l'indipendenza della sua magistratura, la quale lo ha
fatto sapere con chiarezza. Un Paese europeo che non consideri l'India
pienamente uno Stato di diritto è destinato a sollevarne gli automatici
riflessi anticolonialisti.
Alla fine, insomma, il nodo mai sciolto della vicenda è venuto al
pettine: la confusione tra aspetto diplomatico del caso e aspetto
giudiziario. Il nuovo pasticcio creato con la svolta degli ultimi mesi
ha fatto tornare alla casella di partenza questo triste gioco dell'oca.
Perché ora, tra l'altro, l'Italia si sta alienando la possibilità di
dare inizio a un arbitrato internazionale unilaterale, impossibile da
chiedere se con il governo di Delhi ci sono ancora aperte trattative,
come hanno confermato gli indiani e lo stesso Renzi due giorni fa.
Solo quando una trattativa è, dopo più tentativi, fallita, il
ricorso all'arbitrato unilaterale ha chance di successo, non prima:
quella era la strategia portata avanti fino ad alcuni mesi fa e poi
abbandonata dal governo di Roma. Ora, resta solo la possibilità che
Narendra Modi accetti un accordo, magari per un arbitrato su dove tenere
(in Italia o in un Paese terzo) il processo a Girone e Latorre. Siamo
in attesa della bontà sua.
di Danilo Taino - 31 dic. 2014
fonte: http://www.ristretti.org
Sono perplesso ma le carte andranno scoperte a breve col mancato rientro di Max, salvo un "dietrofront Monti-bis", Dio non voglia, imposto da Renzi.
RispondiEliminaSe la Corte Suprema di HL Dutto reagisce come a marzo 2013 avremo forse una crisi che potrebbe indurre Renzi a sposare le ragioni dell'innocenza e pubblicamente, anche con Modi.
Lo scenario sarebbe la revoca della libertà a Max con l'ordine d'incarcerazione sia per Max che per Mancini, se rientrato.
Che farà allora Pittibimbo?
Ovviamente intendevo Salvo e non Max che è in Italia (scusatemi l'errore).
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