11/03/14

L’Fbi indiana vuole i marò
















Per nostri marò nessuna pena di morte e nessuna accusa di pirateria o terrorismo. Ma la polizia federale indiana, nata proprio per contrastare i reati più gravi, non ci sta e, con un «controricorso» alla Corte suprema indiana, dopo il ricorso fatto dalle autorità italiane, vuole essere considerata «indispensabile» per continuare a occuparsi dei due fucilieri di marina, bloccati da due anni in India senza nemmeno un preciso capo di accusa.
La National Investigation Agency indiana, una sorta di Fbi del paese orientale, è stata accusata di ritardi e imprecisioni nelle delicate e complesseindagini sulla vicenda dei due marò italiani. Dopo la dichiarazione di non-applicabilità della legge antiterrorismo, il Sua Act, nel caso dei due militari italiani, in molti ritengono che questo speciale reparto federale non possa avere neppure la giurisdizione sulle indagini. Ma la Nia, diretta da Sharad Kumar, a questo punto vuole chiarezza. Ha chiesto così di poter difendere la sua posizione dinanzi alla Corte suprema.
Dopo la decisione del governo indiano, che ha rinunciato al Sua Act, la difesa di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha presentato nei giorni scorsi un’istanza per chiedere che la polizia antiterrorismo non si occupi più del loro caso. Ma adesso, ha scritto l’Indian Express, l’agenzia ha chiesto al giudice di di essere ascoltata sulla sua versione della vicenda. la Nia vuole dire la sua, in particolare sulla sua giurisdizione, per portare avanti determinate indagini su indicazione del governo centrale o dei tribunali, in virtù dell’articolo 5 della sezione 6 del Nia Act, la legge in base alla quale è stata creata l’agenzia nel 2009. In particolare l’agenzia chiede di essere considerata «parte necessaria» nel caso. Anche perché l’esclusione da queste indagini potrebbe, secondo l’agenzia, avere conseguenze anche su altre inchieste.













Immediata una replica da parte italiana. Secondo Vito Alò, delegato del Cocer Marina Militare, non può essere la polizia federale indiana ad occuparsi del caso. I capi d’accusa scritti dalla Nia anche senza l’applicazione del Sua Act, premono su un omicidio volontario - ha spiegato Alò - e per tali accuse, potrebbe essere applicato il codice penale indiano che prevede la pena capitale e l’ergastolo».
«L’impressione - ha aggiunto - è che l’India si arrampichi sugli specchi per trovare un capo d'accusa inesistente a carico dei nostri colleghi. Tra l’altro - conclude - senza avere nessuna competenza giuridica sul caso. Perciò non ci stancheremo mai di dire a gran voce che devono tornare in Italia innocenti e con onore, perchè sono innocenti».
Antonio Angeli  11/3/14

fonte: Il Tempo.it

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